Il bluff del merito senza premio nella società delle profonde disuguaglianze

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Disuguaglianze economiche e logica del merito
Disuguaglianze economiche e logica del merito

La logica del merito, penetrata anche nella Scuola pubblica, cela profonde disuguaglianze sociali ed economiche. Dati desolanti sui livelli di istruzione e occupazione.

In tutti i paesi del mondo le disuguaglianze economiche, in termini di patrimoni posseduti e redditi percepiti, non diminuiscono, anzi crescono vertiginosamente. Basterebbe cliccare su Wikipedia o su Oxfam per accorgersene. E, ai più scettici, che chiedono: «Ma anche in Italia?», noi Rispondiamo: «Sì, certo, anche nel Belpaese».

Merito, meritocrazia e affini costrutti ideologici, sbandierati dalla demagogia politica in modo trasversale, non sono serviti e non serviranno a ridurre la forbice delle disuguaglianze esistenti in Italia, con buona pace della sinistra progressista, della destra capitalistica e del neonato centro renziano/calendiano, che adesso tira per la giacca Letizia Moratti per mettere le mani sulla Lombardia. Né, tantomeno, richiamarsi ai presunti miracoli della società meritocratica servirà ad arginare o anche solo a limitare l’impatto di crisi ricorrenti di tipo economico, pandemico o climatico sulle fasce medio basse della popolazione mondiale, compresa, ovviamente, quella che vive in Italia.

Bisognerebbe partire, infatti, dall’analisi dei dati per farsi un’idea un po’ più chiara sulla questione del mascheramento delle disuguaglianze celato dietro la logica del merito.

Già in tempi pre-pandemici i dati mostravano come più della metà della ricchezza mondiale fosse ereditata. Nell’ultimo rapporto Oxfam viene messo in evidenza che nel gennaio 2022 «i 10 uomini più ricchi del mondo detengono una ricchezza sei volte superiore al patrimonio del 40% più povero della popolazione mondiale»[1] (parliamo di 3,1 miliardi di persone). Non solo, se il nostro sguardo si sposta dalle statistiche sui patrimoni alle statistiche sui redditi, allora si può notare che la situazione delle disuguaglianze economiche si acuisce drammaticamente.

Cos’altro ci vuole per capire che tutto ciò che ruota intorno al concetto del merito e alla sua mistificazione ideologica centrata sulla meritocrazia non è che un bluff per dare l’illusione che anche il figlio o la figlia del calzolaio, tra un video caricato su tiktok e un pezzo trap, possano arrivare al successo? Cos’altro possiamo fare per mostrare che la logica del merito, che dovrebbe condurre al successo individuale, quello legato ai soldi, alle macchine, e non all’armonia della società civile, maschera, in realtà, profonde e abissali disuguaglianze?

Con uno squilibrio sociale ed economico di partenza così enorme, con queste disuguaglianze così marcate, propinare il ritornello per cui «solo una società meritocratica ci salverà!» fornisce, al massimo, una giustificazione ideologica che funge da doping per miliardi di sventurati individui impegnati nello sforzo agonistico di una competizione estenuate, portata avanti, spesso senza esclusione di colpi, con l’illusione di poter migliorare le proprie sorti.

Ma, sorpresa!, per la stragrande maggioranza delle persone che non appartengono alle élite, la gara non si conclude mai e il premio non c’è, così come l’occupazione non c’è. Nonostante ci si possa mostrare meritevoli e capaci, la ricchezza rimane concentrata nelle mani di pochi e, malgrado le ampie genuflessioni aziendalistiche nei confronti dei propri dirigenti, in verità i redditi percepiti non subiscono mai aumenti di rilievo, non ci sono meccanismi che permettono, soprattutto nel settore pubblico, passaggi di grado da sottoposti e dipendenti a dirigenti grazie al solo fatto di meritarlo.

Il gioco di prestigio, ovviamente, riesce meglio se ad essere cullati dall’ideologia del merito, che trasforma ogni affare in pseudocompetizioni, da cui ricevere onori o oneri, premi o castighi, apprezzamenti o dileggi, sono le studentesse e gli studenti sin dalla più tenera età.

In questo quadro ideologico, in cui il merito del proprio successo o insuccesso è completamente addossato al soggetto, abbiamo definito Psicoistruzione quell’orientamento che tende a fare della scuola un incubatore di ansie, stress e situazioni psicologicamente destabilizzanti a causa dell’eccessivo peso dato ai risultati delle prestazioni. E, alla fine, il messaggio forte e chiaro a livello politico è giunto con l’idea di rinominare quel Ministero, che un tempo era legato alla Pubblica Istruzione, aggiungendo accanto a “Istruzione” anche il “Merito”. Perché non stabilire, infatti, se non proprio un’uguaglianza, comunque un legame, come se l’istruzione da sola non significasse più alcunché di preciso e avesse bisogno di una stampella per esplicitare ciò che necessariamente le serve, cioè il merito?

Eppure, romanticamente, vorremmo ribadire che l’Istruzione non è serva, non ha bisogno di asservirsi al Merito. E questo vale anche in relazione alla funzione docente: non è la quantità misurabile di progetti istruiti per accaparrarsi i fondi PNRR, PRIN, PON, ecc., che fa il/la docente meritevole, ma deve essere la qualità non misurabile della relazione educativa nella classe a orientare il suo lavoro quotidiano, da cui i ragazzi e le ragazze devono cogliere semi che germoglieranno in tempi distesi e imprecisati.

Del resto, il cambiamento in atto con il Ministero dell’Istruzione e del Merito obbedisce ad un potente processo di risemantizzazione del reale, funzionale a curvare, cioè, il reale verso una situazione che non esiste, ma che, nominandola, cerca di darle corpo. Si tratta di una visione della realtà che tende ad orientare i soggetti verso un premio, ad eccitarli nei confronti della competizione, nella ferma convinzione che possa davvero essere tra loro quell’uno su mille che ce la fa. Ed è una lusinga che assume, di volta in volta, la forma di un salario più alto, una posizione più prestigiosa, un premio di produzione, un gadget aziendale irrinunciabile, ma che poi inevitabilmente delude e induce alla colpevolizzazione, all’eccessiva introspezione, a rimuginare su cosa si è sbagliato.

La beffa, dunque, è che, alla fine della competizione, il premio semplicemente non c’è per colei o colui il/la quale, conformandosi alle richieste sempre rinnovate, si è lanciatə nell’impresa titanica di adeguarsi ai target richiesti. Ciò che si realizza è, al più, la permanenza nella medesima condizione socioeconomica: questo dicono, impietosi, i dati sui giovani italiani, meno istruiti e meno occupati rispetto ai coetanei europei (Fonte Eurostat, immagine in basso).

I risultati di questa psicosi collettiva, che si vorrebbe trasferire nella scuola, anzi in quella che abbiamo definito Psicoistruzione, sono sotto gli occhi di tutti: un affaccendarsi senza fine a partire dai mille progetti dietro cui si disperdono le energie delle studentesse e degli studenti e alla fine del quale si innalza il muro di una disoccupazione disarmante…ma il premio non c’è…e nemmeno il lavoro!

Giovani non istruiti e disoccupati
Giovani non istruiti e disoccupati

[1] ha detto Gabriela Bucher, direttrice di Oxfam International, cfr. https://www.oxfamitalia.org/la-pandemia-della-disuguaglianza/

Di Michele Lucivero e Andrea Petracca.


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a cura di Michele Lucivero

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