«I deal with the State». Mi occupo della cosa pubblica.
Partecipare alla vita politica vuol dire tante cose. È un diritto garantito dalle Costituzioni di tutto il mondo, che stabiliscono, tra l’altro, che ogni partito politico, ogni forma associativa, debba reggersi su basi di democraticità, e assicurare il libero accesso al confronto e alle decisioni.
Nel tempo, però, si è smarrito il senso vero della partecipazione. E abbiamo finito per credere che la democrazia si esaurisca nella manifestazione di voto il giorno delle elezioni.
La partecipazione alla vita politica non può essere ristretta dei freddi numeri dei dati elettorali. Quella è solo una piccola parte di un tutto molto più grande.
Quasi che non fosse esercizio di ‘democrazia partecipativa’ qualunque momento di confronto, anche nel ristretto di piccoli gruppi di discussione. Quasi che non fosse esercizio di democrazia partecipativa l’attività di promozione di un pensiero nuovo, in ogni contesto associativo. Quasi che non fosse esercizio di democrazia partecipativa ogni sforzo di informarsi, di comprendere, di conoscere.
I sistemi di comunicazione sono cambiati nel tempo. Dai giornali, alle radio, alle televisioni, al fast food informativo dei social network. Fonti controllate da chi ha il potere per farlo, strumenti di facile indirizzo delle idee e della volontà delle masse.
L’obiettivo di un’informazione corrotta è anche generare disaffezione. Perché il coinvolgimento del Popolo nella politica rende più difficile dirottare i poteri verso interessi individuali.
Per riconoscere valore al consenso dei cittadini servirebbe anzitutto una nuova legge elettorale. Ma nessuno sembra davvero impegnato in questa battaglia. Si discute di percentuali e proporzioni. Si punta a soglie di sbarramento proibitive per nuovi partiti, preclusive dell’allargamento della base partecipativa e della diversificazione del pensiero.
È forse che l’accesso di nuovi soggetti propositivi, che potrebbero evidenziarsi con idee e soluzioni, è vissuto come una minaccia a posizioni di evidenza ormai consolidate.
Serve una legge elettorale nuova, che apra alla partecipazione di gruppi partitici anche più piccoli e porti a un giusto equilibrio tra rappresentatività e governabilità.
Il cittadino deve tornare a combattere per riaffermare la centralità del proprio ruolo. Per riportare luce sul peso determinante della cittadinanza attiva, per ridare un senso al concetto di comunità. La Società è costruita ad anelli. Siamo tutti indispensabili. Un anello rotto, e non tiene la catena. Per questo nessuno, ma proprio nessuno, può restare indietro, e nessuno, ma proprio nessuno, può astenersi dal fare la propria parte.
Ma il sistema del disfattismo e dell’ignavia è difficile da scardinare. Sul senso di indolenza del cittadino che si accontenta di esprimere un favore inconsapevole il giorno delle elezioni è costruita la forza dei potenti. In un circolo vizioso, l’indifferenza del cittadino alimenta il prestigio di pochi, che lavorano per la conservazione dell’indifferenza del cittadino. Tra gli ingranaggi di questa macchina, disagio e sofferenza.
Ritorniamo a vedere. Torniamo a guardare alle priorità. Dismettiamo il rigore di schemi ideologici ormai anacronistici. Ritorniamo a vivere quell’indipendenza che soltanto la ricerca della verità può assicurare. Smettiamola di accontentarci dell’aiuto o del sostegno. Oltre ogni logica emergenziale, puntiamo al futuro.
Cerchiamo una rivoluzione vera, quella in cui, se cambiano i programmi, cambia anche la mentalità dell’apparato burocratico chiamato a realizzarli.
Senza idee, non c’è risorsa economica che possa essere davvero utile. Senza progettualità, non c’è pagina bianca che possa essere riempita.
Ma, per cambiare l’Italia, dobbiamo partire da noi. E non c’è nulla di più difficile che cambiare se stessi.