Viene da chiedersi se ha ancora senso parlare con speranza di pari opportunità. Alla fine, quali opportunità hanno avuto le tante donne che magari speravano solo di essere amate da quegli stessi uomini che non hanno avuto pietà a cessarne l’esistenza?
Negli anni il legislatore è intervenuto più volte inasprendo le conseguenze per tali efferati reati, con norme sempre più repressive delle quali si avvertiva l’esigenza, ma che comunque non hanno conseguito i risultati sperati in termini di prevenzione. Del resto, come ebbe a affermare uno stimato professore di diritto penale, tendenzialmente chi delinque non desiste in virtù di una pena più o meno afflittiva, egli infatti, nel suo agire, prescinde totalmente dalle pene che, razionalmente, non tollererebbe neanche se contenute.
Allora, come fermare questa mattanza, e in generale ogni forma della violenza, oramai dilagante, assolutamente non in linea con una società che possa dirsi civile?
Probabilmente l’unica attività preventiva risiede nel riuscire a formare uomini migliori, educandoli, sin da piccoli, al rispetto per la vita umana, alla comprensione e alla compassione, curandone quelle fragilità che spesso non consentono di superare, accettandoli, quei “no” che spesso sono il motivo scatenante della furia omicida.
E quindi, qual è la strada da percorrere?
Il percorso fondamentale per la riuscita di una rivoluzione culturale, anche volta a superare anacronistici stereotipi duri da scalfire, è innanzitutto investire su scuola e famiglia, mettendo in stretta sinergia i pilastri della formazione di ogni individuo, supportandone la tenuta con investimenti importanti, ovvero, partendo dai territori, incentivando e finanziando percorsi psicoterapeutici familiari; introducendo nelle scuole la presenza imprescindibile di uno psicologo e di punti d’ascolto, anche al fine di supportare i docenti nella risoluzione dei conflitti con i ragazzi più difficili; organizzando corsi di educazione sessuale e di affettività, a frequenza obbligatoria.
Occorre anche mettere in relazione le scuole con le realtà disagiate per strutturare progetti di volontariato che coinvolgano i giovani nel supporto alle stesse, consentendogli quindi un confronto con realtà differenti dalle loro, per metterli in connessione con le diversità e la sofferenza altrui, predisponendoli all’integrazione e sviluppandone l’empatia (nei centri anziani, nelle comunità educative che accolgono minori sottratti alle famiglie, presso i canili…).
Tutto questo potrebbe rivelarsi comunque insufficiente. Dunque sarebbe forse opportuno anche rivedere i modelli educativi consolidati e modularli in funzione dell’esigenza di stimolare un cambiamento interiore, per fare emergere il potenziale positivo di ciascuno, magari attingendo dall’esperienza tipica della saggezza orientale propria dei popoli pacifisti che hanno fatto della ricerca dell’equilibrio mentale, spirituale e fisico, la ragione della loro esistenza.
D’altronde, e anche solo si inducessero i bambini, sin dai primi anni d’età, alla pratica meditativa, si porrebbe fine alla violenza nel mondo nel giro di una generazione.
È indispensabile rendere effettive le iniziative per la prevenzione di questi fenomeni di violenza, nella direzione di dare sostanza ad azioni concrete di intervento, e di mettere a disposizione gli adeguati finanziamenti, per conseguire la specifica formazione ed educazione delle nuove generazioni, anche attraverso la predisposizione di un pacchetto di norme ad hoc volte a conseguire il fine ultimo di realizzare l’auspicato cambiamento culturale.
Del resto le grandi rivoluzioni non seguono necessariamente processi complessi, a volte basta solo non sottovalutare la forza di piccole azioni che, sommate tra loro, potrebbero davvero fare la differenza.
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Fonte: Educazione al rispetto