«Quest’anno celebriamo la S. Messa del Crisma in modo completamente nuovo a causa della pandemia sanitaria che ha segnato pesantemente la vita di ciascuno di noi, delle nostre comunità e dell’intera famiglia umana. La celebriamo nel penultimo giorno del tempo pasquale, alla vigilia della Pentecoste, condizionati nel numero e nella partecipazione, dalle norme che siamo chiamati a rispettare con un giusto senso di responsabilità».
Nell’apertura dell’omelia del vescovo Beniamino c’è la cornice entro cui si è collocata la Messa Crismale celebrata sabato scorso 30 maggio in Cattedrale a Vicenza, a pochi giorni dalla fine del lockdown. Si è trattato di un appuntamento importante che di solito caratterizza la mattina del Giovedì Santo, ma quest’anno lo scorso 9 aprile non è stato possibile celebrarlo. In tal senso la Messa Crismale è diventata uno dei segni della ripresa anche per la Chiesa vicentina. È stato un appuntamento che con i suoi vincoli e limiti (il numero ridotto di fedeli ammessi, l’uso della mascherina e del gel igienizzante) ha anche evidenziato come la fase della crisi sanitaria non sia ancora conclusa.
Alla celebrazione c’è stata dunque una presenza forzatamente limitata – come ha ricordato in apertura il vicario generale don Lorenzo Zaupa – ma rappresentativa di tutta la diocesi. «Saluto così i membri del Consiglio Pastorale diocesano, i membri del Consiglio Presbiterale, la Presidenza della Consulta delle Aggregazioni laicali, i membri del Consiglio dei Vicari foranei, i membri del Capitolo della Cattedrale».
È stata anche l’occasione per pregare e riflettere sul tempo appena trascorso una fase che il Vescovo ha definito «tempo di dolore e tempo di grazia. Il dolore è evidente – ha commentato perché abbiamo perso tanti fratelli e sorelle». Il Tempo di grazia è più difficile da interpretare e ha ricordato i segni positivi da non disperdere: «Si è intensifi cata la preghiera nella famiglia, la famiglia è diventata piccola chiesa domestica, c’è stato un maggior contatto e approfondimento della Parola di Dio, la possibilità di meno relazioni, ma forse più intense».
Mons. Pizziol, durante la celebrazione, ha più volte espresso la vicinanza propria e di quella della Chiesa diocesana «alle famiglie e alle comunità che sono state provate dalla morte di una persona cara. Vogliamo assicurare – ha aggiunto la nostra solidarietà e la nostra amicizia» a quanti «stanno soffrendo e faticano ad andare avanti a causa di difficoltà economiche, lavorative, familiari».