di Michele Di Cintio, già Dirigente scolastico al Liceo Corradini di Thiene ed ex ispettore del Ministero della Pubblica Istruzione per la Regione Veneto, Presidente della SFI Vicenza
Scrivere una recensione per l’opera di un amico, con cui si è condiviso un percorso culturale, empatico ed affettivo ventennale, non è facile: vi è sempre il rischio di essere coinvolti, troppo, dal sentire comune oltre che della stima profonda e dal rapporto amicale, che ci unisce. D’altra parte, può essere anche molto agevole proprio perché il percorso teorico, le idee, gli orizzonti culturali dell’altro sono, almeno in buona parte, anche i tuoi, ragion per cui non è difficile coglierne gli aspetti fondamentali così come le sfumature più impalpabili, ma non meno rilevanti.
Da una decina di anni le nostre strade si sono nuovamente incrociate, realizzando una collaborazione sempre più intensa e, si spera, proficua, culminando nella fondazione del C.I.R.F.D.I. (Centro internazionale di ricerca e formazione per il dialogo interculturale). Mi sono soffermato su tali aspetti perché sono essenziali al fine di comprendere la cornice culturale e valoriale, oltre che tematica, in cui si colloca il lavoro di Carluccio Bonesso.
Egli non è soltanto uno dei pionieri della ricerca in ambito timologico, ma è colui il quale ha tradotto queste esperienze teorico-metodologiche in una prassi di formazione e di relazionalità, che non solo vivifica la sua associazione (Società Italiana di Timologia), ma è l’humus, da cui trarre stimoli, energie e riflessioni ulteriori. Partendo da tale constatazione, si può, quindi, comprendere come questo volume sia, ad un tempo, una summa del suo pensiero in merito alla timologia ed ai suoi sviluppi, ma anche una tappa, indubbiamente fondamentale, in un percorso non esaurito, anzi indirizzato, continuamente, a nuovi sviluppi ed implicazioni sia di teoria che di esperienza vissuta, se mi si consente di adoperare la terminologia di Dilthey. Va ricordato, per comprendere, in modo non superficiale, l’iter teorico dell’autore, che la sua formazione culturale è ricca e complessa: essa va, infatti, dalla pedagogia (concretizzata da parecchi anni di insegnamento elementare) alla psicoanalisi (è stato anche psicoterapeuta) e, infine, alla filosofia, cui va aggiunto un costante e sempre più intenso interesse per le neuroscienze.
Sottolineo questo innanzitutto perché chi si accostasse, senza approfondire, alla dimensione timologica, così come è presentata da Carluccio Bonesso, e, magari, si soffermasse sui «quadranti cartesiani» delle emozioni, potrebbe pensare che si tratti di un’ennesima variazione sul tema mediante un approccio psicologico-psicoanalitico di tipo più o meno tradizionale: niente di più errato!
Se «il peccato originale» della psicoanalisi, a partire da Freud, è la sua matrice positivistica e, quindi, le conseguenti mal celate ambizioni epistemiche quasi che la psiche umana possa essere distesa sul tavolo del laboratorio e sezionata (vedi io, superio, es), l’effetto è stato la progressiva decadenza di tale orizzonte teorico-metodologico; ne consegue che le nuove prospettive di indagine si incentrano, da un lato, sulle scoperte, sempre più accelerate ed interessanti, delle neuroscienze e, dall’altro, su un nuovo orizzonte interpretativo, che fa della «concezione olistica» della dimensione umana e delle stesse funzioni cerebrali, la pietra angolare di un nuovo paradigma ermeneutico e, insieme, assiologico.
Negli scritti di Carluccio Bonesso ritorna costantemente, quasi un mantra benefico di ispirazione, l’affermazione che «la mappa non è il territorio». Si tratta di un elemento fondante sia perché fa comprendere, immediatamente, che l’angolazione di studio e di analisi, che viene proposta, è di tipo ermeneutico (Gadamer docet) e, quindi, si propone come la costruzione, sempre in fieri, di un modello interpretativo perché lo sguardo dell’autore e, perciò, tutta la sua riflessione, non perde mai di vista l’insieme, l’umanità nel suo magmatico travaglio esistenziale, nel suo dispiegarsi, nella complessità e come complessità, attraverso i sentieri del tempo e dello spazio: la perenne ricerca di sé, che connota la dimensione umana come ex-sistere e, heideggerianamente, come «progetto gettato» ineludibilmente nella storia, non può mai trovare un esito definitivo poiché si nutre di sé quale inesauribile domanda di senso e, pertanto, insopprimibile aspirazione alla finalizzazione del suo stare nel mondo e con il mondo. Tale sfondo teorico, essenziale per comprendere il pensiero timologico di Carluccio Bonesso, gli deriva, indubbiamente, dalla profondità filosofica della sua riflessione, che riesce, come un meraviglioso amalgama, a collegare tutte le altre istanze teoretiche, metodologiche ed epistemiche.
Si può affermare, quindi, che l’approccio ermeneutico alla tematica timologica non solo affranca questo lavoro dalle sabbie mobili di una malriposta pretesa «oggettivistica» di stampo neopositivista, ma, ancor più, lo pone nella rarefatta atmosfera di una ricerca e di una meditazione, che, rifuggendo da «facili soluzioni e definizioni», si elevano all’altezza della ricerca essenziale, intendendo con questo che tale anelito di comprensione e di conoscenza è rivolto, quasi una stella polare valoriale e teoretica, all’essenza della dimensione esistenziale.
Nella riflessione del nostro autore, inoltre, alla prospettiva ermeneutica, da cui si sviluppa la sua indagine, si affianca, armonicamente e coerentemente, quella olistica. La rilevanza di tale impostazione è enorme: è chiaro che non si tratta di una novità assoluta dal punto di vista teoretico in generale, tuttavia è fondamentale che questa cornice abbracci tutta la tematica della soggettività, fondendo assieme, anzi considerando un tutt’uno, la dimensione cosiddetta razionale e quella cosiddetta emozionale.
Si potrebbe dire, quasi, che, nell’analisi di Bonesso, i confini tra razionale ed emozionale si sfumano e si intersecano a tal punto da presentare un quadro unitario pur nella sua grande complessità: concetto questo che non solo non sfugge all’autore, bensì ne rappresenta un leit-motiv capace di conferire armonicità di senso, di prospettiva e di finalità. Bisogna soffermarsi su quest’ultimo aspetto poiché tutto il percorso di indagine e di riflessione dell’autore è fortemente orientato. Verso quale obiettivo? Si potrebbe rispondere con il titolo della seconda parte dell’opera: l’ecologia emotiva, ma vale la pena leggerla direttamente dall’autore!
Carluccio Bonesso, Il settimo senso e l’ecologia emotiva, Aracne, Roma 2021.
Qui troverai tutti i contributi a Agorà, la Filosofia in Piazza
a cura di Michele Lucivero
Qui la pagina Facebook Agorà. Filosofia in piazza