Una domanda stuzzicante me la pone il lettore L.L. (qui la rubrica “Poggi risponde ai lettori“, per inviare domande cliccate qui, ndr): “qual è stato il miglior presidente del Vicenza?”. Nei centosedici anni di vita del club biancorosso (che – teniamolo ben presente – non è defunto dopo il fallimento del 2018 ma è, diciamo così, dormiente in Federazione in attesa che qualcuno lo faccia risorgere) non c’è stato un solo presidente (qui l’elenco su Wikipedia, ndr) a cui assegnare l’Oscar per la migliore interpretazione del ruolo. Secondo me sono almeno cinque quelli che meritano il riconoscimento: Antonio Roi, Rodolfo Gavazzi, Piero Maltauro, Giussy Farina e Pieraldo Dalle Carbonare.
Una nomination ci starebbe anche per altri due numeri uno, ma solo per il loro ruolo storico, visto che Tito Buy è stato il primo della serie nel 1902 e Giacomo Sartea è quello della rinascita dopo la Grande Guerra oltre che il donatore del terreno su cui fu costruito il primo vero campo dei biancorossi, lo Stadio di San Felice.
Antonio Roi assume per la prima volta la carica presidenziale nel 1928. Ha solo ventidue anni (nasce a Vicenza nel 1906), appartiene a una delle grandi famiglie nobili della città (anche se il marchesato dei Roi è piuttosto recente e la loro ricchezza è di provenienza industriale). Il suo merito principale è l’aver dato per la prima volta una struttura organizzativa ed economica alla ACV, acronimo con cui è popolarmente chiamata la Associazione del Calcio in Vicenza. Al marchese Roi va riconosciuto anche di aver salvato il calcio vicentino che, a metà degli Anni Venti, dopo un frenetico succedersi di consigli direttivi e presidenti, è in crisi. Ne esce solo con l’avvento di questo giovane presidente che sarà, personalmente o tramite dirigenti di sua fiducia, l’anima finanziaria e organizzativa della ACV per quasi venticinque anni. L’ultimo regalo che fa al suo Vicenza è convincere Rodolfo Gavazzi, presidente della Lanerossi di Schio, ad entrare aziendalmente nella ACV che, nei primi Anni Cinquanta, è di nuovo sull’orlo del fallimento.
Nel 1953 Rodolfo Gavazzi e i suoi dirigenti hanno una intuizione e una prospettiva decisamente all’avanguardia per quei tempi: utilizzare una squadra di calcio professionistica come veicolo di marketing aziendale. La normativa vigente consente infatti di abbinare un brand commerciale alla denominazione di un club. Il 26 giugno 1953, in occasione della assemblea in cui è deliberata la fusione, dopo cinquantun anni la Associazione Calcio Vicenza cambia nome ed è ribattezzata Lanerossi Vicenza Associazione Calcio. Sarà un abbinamento lungo e fortunato, durerà trentasei anni e assicurerà al Lanificio un ritorno di immagine a costo relativamente basso e al calcio vicentino, oltre alla sopravvivenza, la storica promozione in Serie A nel 1955. Gavazzi è, dunque, il presidente della promozione e alla sua gestione si deve anche la riorganizzazione del Settore Giovanile che, con la guida tecnica di Berto Menti, vince per due volte consecutive il Torneo di Viareggio.
Nella stagione sportiva 1957-1958 la società torna, per così dire, vicentina. I rappresentanti della Lanerossi escono dal consiglio (anche se il contributo economico è mantenuto) e sono sostituiti da esponenti della borghesia e della nobiltà cittadina. Il nuovo presidente è l’ingegnere Pietro Maltauro, di origini recoaresi e capo della più importante impresa edile locale, che ha ricostruito la città nel dopoguerra. Rimarrà in carica per sette anni e la sua lunga presidenza è considerata una delle migliori nella storia del club. Maltauro riuscì a consolidare stabilmente il ruolo del Vicenza in Serie A e a portare sempre in pareggio i bilanci. Il mito della Nobile Provinciale nasce proprio con lui. Applica un format gestionale che ottimizza le risorse a disposizione. Garantita la salvezza, l’obbiettivo sportivo si può spostare più in alto puntando al titolo di migliore delle cosiddette “provinciali”, che il Lanerossi si assicura più volte. I suoi sono gli anni di Lerici, di Vinicio e dei tanti giovani lanciati in prima squadra dal vivaio.
Giuseppe Farina ha trentasei anni quando, il 23 gennaio 1968, è eletto presidente della Società sportiva Lanerossi Vicenza s.p.a., nuova denominazione dopo la trasformazione in società di capitali dell’anno prima. È di Gambellara ma di fatto veronese: sarà l’uomo che rivoluzionerà in modo definitivo il mondo del calcio biancorosso di cui risulterà padrone indiscusso per tredici stagioni. Farina è il primo presidente moderno del Vicenza, di cui diventa il personaggio-immagine con una gestione molto personalizzata. È un maestro del calciomercato, da cui riesce ad ottenere ricavi importanti che contribuiscono ad abbattere il passivo. A questo presidente il Vicenza deve il conseguimento del risultato più alto ottenuto nella sua storia: vicecampione d’Italia nel 1977. Ma non solo, perché Giussy è anche l’artefice del Real Vicenza e del fenomeno Paolo Rossi, la squadra e il giocatore più amati ancor oggi.
Pieraldo Dalle Carbonare (foto di copertina, ndr) firma, anche lui, l’ennesimo salvataggio della società nel 1989, quando l’acquista dal gruppo guidato da Gastone Celin. L’industriale thienese è il primo a dare un’organizzazione aziendale al club scegliendo come amministratore delegato e direttore generale Sergio Gasparin.
In quattro anni riporta i biancorossi in Serie B (1992-1993) e, dopo altri due, in A. Sceglie allenatori importanti come Renzo Ulivieri e Francesco Guidolin, giocatori di grande personalità come Di Carlo e Viviani, lancia attaccanti come Murgita e Otero. La crisi del gruppo tessile di famiglia lo costringe ad abbandonare, nel 1996, la presidenza e non può essere presente alla vittoria della Coppa Italia, un titolo che comunque gli è riconosciuto honoris causa. Per la sua umanità, per le sue doti dirigenziali e per i risultati ottenuti Dalle Carbonare è il presidente più rimpianto dai tifosi vicentini.