Migranti, Il Fatto: per la Corte dei Conti l’Ue paga solo il 2,7% delle spese”

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Sul tavolo dei governi dell’Ue sta per arrivare la riforma della Convenzione di Dublino, vale a dire dell’accordo con cui – a più riprese – l’Italia e la Grecia si sono lasciate abbandonare dai partner europei nella gestione dei flussi migratori dall’Africa (l’accordo dal 2003 prevede che il primo Paese che individua il rifugiato dovrà poi gestirlo e, in sostanza, tenerselo). Purtroppo la riforma non va nella direzione auspicata dal nostro Paese: nella “bozza zero” – che andrà discussa a livello ministeriale – il principio del “primo approdo” non viene messo in discussione e, per di più, i meccanismi per re-distribuire chi ha diritto alla protezione vengono resi non obbligatori.
Questo mentre si tenta di estendere l’accordo con la Turchia che, a pagamento, chiude agli emigranti la via balcanica facendo felici i Paesi di Visegrad e la Germania, indirizzando i flussi verso l’Italia via Libia.

Curioso che la notizia arrivi nello stesso giorno in cui la Corte dei Conti diffonde la sua relazione sulle spese per l’accoglienza in Italia tra il 2013 e il 2016, relazione che contiene molte conferme e un paio di novità sorprendenti. Partiamo da queste ultime: nel 2016 il sistema dell’accoglienza ha comportato impegni finanziari per lo Stato pari a 1,7 miliardi di euro (il governo ha certificato a Bruxelles per il 2016 spese totali per 3,6 miliardi chiedendo la relativa flessibilità sul deficit). Scrive la Corte: “Siccome l’Unione europea ha contribuito a sostenere le politiche di accoglienza tramite le erogazioni effettuate, nel 2016, dall’agenzia Frontex per 8,1 milioni e dal Fondo asilo, migrazione e integrazione (Fami) per 38,7 milioni, le stesse complessivamente rappresentano soltanto il 2,7 per cento rispetto all’onere gravato sul bilancio dello Stato“. La solidarietà europea, in sostanza, è una goccia nel mare.

Nella relazione dei magistrati contabili c’è anche un’altra stilettata al comportamento dei Paesi dell’Unione e riguarda i cosiddetti “ricollocamenti“: un accordo del 2015 stabiliva, infatti, che – visto l’incredibile aumento degli sbarchi – un certo numero di richiedenti asilo fossero spostati da Italia e Grecia verso gli altri Stati dell’Ue.

Scrive la Corte: “Alla data del 15 ottobre 2017 risultavano ricollocati dall’Italia 9.754 richiedenti su un totale di 39.600 persone da rilocare”. Questo non è senza effetti: il costo per l’Italia delle “mancate ricollocazioni di migranti negli altri paesi europei, al 15 ottobre 2017, ammonta a non meno di 762,5 milioni“. E si tratta, aggiunge il rapporto, di una stima “certamente approssimata per difetto”.

Più ovvia e conosciuta è la sottolineatura dell’incremento del fenomeno migratorio verso l’Italia nel triennio che ha comportato un relativo aumento di costi: per l’accoglienza l’Italia spendeva 300 milioni nel 2013 e, come detto, 1,7 miliardi nel 2016, quasi sei volte di più.

Note, ma non meno meritevoli di attenzione, le critiche dei magistrati al sistema messo in piedi dal Viminale: poco coordinato, senza un controllo razionale dei costi (che variano moltissimo da regione a regione) e, soprattutto, lento. “Tutti coloro che arrivano – scrive la Corte – sono immessi nel ?sistema di richiesta d’asilo’, che attualmente è l’unica modalità per stabilirsi legalmente in Italia” e lì restano almeno per sei mesi e spesso per anni: “Si dovrebbe evitare di riconoscere un ?diritto di permanenza indistinto’ a tutti coloro che sbarcano e, quindi, ammettere un’accoglienza di molti mesi (se non anni) durante i quali i migranti, non avendone titolo, vengono di fatto inseriti anche nei cosiddetti ?percorsi di formazione professionale’ finalizzati all’integrazione, con oneri finanziari gravosi“.

Nel 2016, ricordano infine le toghe, il 56% delle richieste di asilo sono state respinte e quelli che “non ottengono alcuna forma di protezione diventano sostanzialmente irregolari. Poiché rimpatriarli è complesso e oneroso, essi restano sul territorio senza diritti“.

di Marco Palombi, da Il Fatto Quotidiano