Cent’anni sono passati da quando il convoglio ferroviario, partito da Aquileia, importante insediamento asburgico fino al 24 maggio 1915, trasportava le spoglie del Milite Ignoto. Un soldato italiano senza nome, scelto per ricordare la morte di oltre 650.000 militari connazionali durante il primo conflitto mondiale. Oggi a Roma, si completerà, con l’arrivo della locomotiva funebre, il solenne itinerario del Centenario .
Chi era il Milite ignoto?
E’ stato un combattente italiano, anonimo, scelto tra un gruppo di undici militari, caduti in battaglia, nei diversi fronti, durante la prima guerra mondiale. La bara venne scelta da Maria Bergamas, mamma di un soldato deceduto, Antonio, tra le undici, tutte uguali, disposte in fila nella navata centrale della Basilica di Aquileia. Poi il trasferimento in treno a Roma. In ogni stazione il convoglio sostava per ricevere gli applausi degli italiani, radunati, allora, per omaggiare un emblema del sacrificio, dell’onore e della lealtà.
Identità nazionale volano per la costruzione del futuro.
Nel suo messaggio di fine anno, il nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, aveva ricordato, per il Centenario dalla traslazione del Milite Ignoto, nel sacello dell’Altare della Patria, come “memoria e consapevolezza della nostra identità nazionale ci aiutano per costruire il futuro”. Un’identità che nella Grande Guerra, ogni militare italiano, anche nel suo non sempre comprensibile dialetto regionale, esternava con estrema abnegazione, pur celata nella quotidiana paura della morte.
Il sacrificio per la difesa della Patria è ancora un valore identitario nazionale?
Le celebrazioni del primo secolo del Milite Ignoto, hanno ora riproposto il viaggio del ’21. Un tragitto effettuato da un vecchio treno a vapore, atteso – lungo i binari delle stazioni di sosta designati – da qualche sparuto e curioso cittadino e dalla banda militare locale. Patria e nazione forse non sono più’ dei valori significativi per gli italiani contemporanei. Ma la memoria della storia del nostro Paese non può essere ridotta ad una semplice celebrazione istituzionale dall’evanescente serietà sociale. Dal 28 ottobre al 2 novembre 1921 la gran parte del popolo italiano aveva salutato con le lacrime agli occhi il passaggio del treno funebre. A casa, al lavoro, lungo le banchine del binari intere famiglie, lacerate dalle ferite subite dall’«inutile strage», salutavano e pregavano simbolicamente per tutti i caduti della Grande Guerra. Non solo soldati di un esercito nazionale, ma figli, padri, nipoti, propri cari, che ogni famiglia aveva visto sacrificarsi per l’Italia. Caduti che affiancavano una pari quantità di decessi di civili e 6.000.000 di mobilitati nel primo drammatico conflitto bellico mondiale.
La memoria della propria storia finestra del futuro.
Il senso della propria Memoria è la bandiera di un popolo. Il ricordo di una storia cruciale di sacrificio collettivo, come quella vissuta dal nostro paese dal 1915 al 1918, tra il massacro di massa e l’eroico riscatto individuale, magistralmente denunciato da “La Grande guerra” di Monicelli, nel ‘59, non può essere solo una “normale ricorrenza storica”. Quel Soldato Italiano, che riposa da oltre un secolo, nella Mole del Vittoriano, è la sintesi del recente “Ieri del nostro Paese”. Un pezzo di memoria che deve rimanere indelebile, per non ripetere i medesimi errori, che la nostra storia nazionale ci ricorda, proprio a partire dal mese di novembre del 1921.
Montanelli, considerato da molti il più grande giornalista italiano del Novecento, in un’intervista dichiarò: “Un Paese che ignora il proprio Ieri, di cui non sa assolutamente nulla e non si cura di sapere nulla, non può avere un domani“.
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