Dal Belgio al Ministro Bianchi sul bisogno di “Filosofia in Agorà”: ancora una riforma della scuola per uscire dalla crisi

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Ministro Bianchi su formazione dei docenti
Ministro Bianchi su formazione dei docenti

di Michele Lucivero e Andrea Petracca. Da quando il Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi ha annunciato l’intenzione di introdurre lo studio della Filosofia negli istituti tecnici, tutti abbiamo capito che la Filosofia offre non solo posti di lavoro ai docenti precari, sfornati per anni ben oltre il contingente necessario da assumere in ruolo nei vari percorsi universitari di formazione, ma soprattutto abbiamo capito che la Filosofia oggi si presenta come «uno strumento concettuale con cui affrontare il mondo».

E il 22 novembre un istituto romano ha reso pubblico che, dopo aver sperimentato con successo l’insegnamento della Filosofia alla scuola primaria, dal prossimo anno scolastico assicurerà lo studio di questa disciplina in orario curricolare anche nella secondaria di primo grado: un’ora per “imparare a pensare” attraverso il curricolo già ampiamente consolidato e sperimentato della Philosophy for Children.

Altrettanto interessante è la proposta che arriva dal Belgio, dove nelle due regioni francofone di Bruxelles e della Vallonia il Governo vorrebbe introdurre in tutte le scuole dell’obbligo ben due ore settimanali di Filosofia ed Educazione civica, in parte ricavate dall’eliminazione dell’ora di religione, che resta un altro punto spinoso della scuola italiana, rivangato a giorni alterni dai più laicisti e anticlericali.

A noi sembrano proposte davvero molto interessanti perché riconosciamo che è veramente ora di cambiare, riscrivendo i tempi, gli spazi, le modalità e la distinzione disciplinare legata alla vetusta (come piaceva dire a Lucia Azzolina) frequenza scolastica, pronti, senza pregiudizi, ovviamente nel rispetto dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, a rivedere anche contrattualmente cosa la trasformazione possa comportare.

Il punto cruciale della questione a noi appare fin troppo chiaro: davvero dobbiamo inseguire il mondo che cambia, lasciandoci guidare da chi tenta da anni di entrare con logiche privatistiche nella scuola, oppure vogliamo consapevolmente anticipare il cambiamento, anche quello tecnologico, e guidarlo eticamente, civicamente ed ecologicamente verso una logica che renda la scuola, anticamera della società futura, massimamente inclusiva e interculturale?

Il messaggio che vogliamo cogliere dalle sollecitazioni del Ministro Bianchi, proprio mentre si parla di dare più peso alle discipline tecniche, matematiche e STE(A)M, è quello di utilizzare la Filosofia, soprattutto nella scuola secondaria, per sottolineare i collegamenti che rendono le diverse scienze, comunque, umane e civiche.

Non bisogna dimenticare, infatti, che la Filosofia si afferma già da sempre come sapere problematico di natura interdisciplinare e interculturale, anzi, proprio in questa prospettiva è possibile recuperare quel valore che le era peculiare nel mondo greco e le è rimasto incollato fino alla modernità, quando lentamente ad una ad una tutte le altre scienze si sono sfilate dalla sua matrice originaria e si sono autonomizzate, alcune delle quali ammantandosi di presunte esattezze e visioni anticipatrici.

E, così, alla Filosofia, pensata per l’uso, ma soprattutto per il consumo immediato, dei soli e delle sole liceali, non è rimasto che diventare una galleria di personaggi improponibili, rigorosamente uomini, ma con i capelli cotonati e i bigodini, ciascuno dei quali aveva qualcosa da dire, prontamente compendiabile in una scarna massima della serie: Hegel è quello del «ciò che è reale è razionale», Schopenhauer è quello del «pendolo che oscilla tra il dolore e la noia», Marx il comunista, Nietzsche ha fatto morire Dio e Freud ha scoperto l’inconscio.

Eppure, questa visione “disciplinare” della Filosofia, che risulta assolutamente aristocratica, e figlia di una concezione statica del sapere, non più compatibile con i grandi cambiamenti del mondo globale in cui ci muoviamo, ha un fondamento storico in Italia che può e deve essere superato, se vogliamo che la Filosofia torni ad occupare un posto nell’Agorà, che è la piazza nella quale tutti e tutte si devono confrontare e devono essere capaci di argomentare per costruire la società civile, come è nei propositi di Bianchi.

Dai Regi Decreti del 1923, che formalizzavano quella che è passata alla storia come Riforma di Giovanni Gentile, è trascorso ormai quasi un secolo, un secolo di profondi cambiamenti, ma siamo davvero certi che le molte riforme che si sono succedute in ambito scolastico abbiano davvero scalfito quella struttura intransigente a lungo identificativa dell’istruzione pubblica italiana?

La riforma gentiliana poggiava sulla distinzione tra “scuola disinteressata e formativa” (il Ginnasio-Liceo classico) per i figli della borghesia, da un lato, e gli studi volti a iniziare i figli degli operai ad attività lavorative (le Scuole Tecniche e Professionali) dall’altro. Si trattava, in realtà, di una scuola basata, cioè, sulla selezione elitaria già attuata nella scelta, a monte, di scuole “non per tutti”, anche per la difficoltà dei programmi e la scrupolosità dell’esame di Stato. Era una scuola, quella pensata da Gentile, in cui l’educazione nazionale passava, quindi, attraverso la formazione classica e filosofica, che diventava un pilastro imprescindibile della vita morale da realizzare all’interno di uno Stato di cui si riconosceva il primato etico.

Dopo Gentile abbiamo dovuto ammettere, anche con Bourdieu e Althusser[1], che la ventata autoritaria, in assoluta continuità con l’ideologia liberale, che le lasciò il passo appena si paventava l’avvento del socialismo, non faceva altro che ingessare ogni forma di ascesa sociale. E, tuttavia, i nostri Governi, pur avendo compreso l’assenza totale di mobilità sociale in Italia negli ultimi 70 anni, non sono mai andati a fondo nello sparigliare le carte, provando a rivoltare la scuola come un calzino, al fine di collegare tutto il popolo alle istituzioni civili della nazione.

Per cominciare a cambiare davvero la scuola e far fronte ad una crisi che è soprattuto antropologica, noi crediamo fortemente all’eventualità di utilizzare la Filosofia, in tutti i gradi e gli ordini scolastici, come la condizione di possibilità per pensare politicamente percorsi concreti per una scuola più laica, pubblica, inclusiva e interculturale.

[1] Cfr. M. Barbagli (a cura di), Istruzione, legittimazione e conflitto, il Mulino, Bologna 1978.


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a cura di Michele Lucivero

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