Il tema più scottante della politica, in questo momento è quello della nomina dei ministri, tra i più strategici il ministro dell’economia, della giustizia, dello sviluppo economico e dell’energia; ministri che andranno a formare il nuovo Governo a seguito delle ultime elezioni e della designazione del Presidente del Senato (seconda carica dello Stato), avvenuta ieri con modalità impreviste.
Secondo l’art. 92 della Costituzione, i ministri sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri. Dopo le elezioni dei presidenti di Camera e Senato, avranno inizio – secondo una prassi istituzionale, non codificata – le consultazioni, appunto per la formazione del nuovo governo, all’esito delle quali il Capo dello Stato conferisce l’incarico a chi, secondo le indicazioni dei gruppi di maggioranza, riterrà in grado di ottenere la fiducia in entrambi i rami del Parlamento.
Questa, dunque, è l’unica regola sottesa alla formazione del Governo, che è solitamente caratterizzata da complesse trattative fra i gruppi di maggioranza, in base a criteri politici non predefiniti e frutto di equilibri contingenti e di interessi di varia natura. La specifica professionalità dei candidati non è affatto determinante per la loro nomina, come si potrebbe credere. Quasi sempre le coalizioni risultate vincenti alle elezioni partecipano alle trattative per la formazione della lista dei destinatari degli incarichi di governo puntando ad ottenere dicasteri di loro maggior interesse, per i motivi più vari, che qui non sono riassumibili..
Un ministero molto ambito (pur se particolarmente problematico) è quello della Giustizia, che sembra avere un peso politico superiore agli altri, secondo i parametri del c.d. manuale Cencelli. Questa riflessione vale, soprattutto, in questo particolare momento storico perché a carico di uno dei tre leader della coalizione di maggioranza, del centro destra (Silvio Berlusconi) è pendente un delicato procedimento penale per corruzione in atti giudiziari (il c.d. processo Ruby ter); un’eventuale condanna comporterebbe una seconda sua decadenza, in base alla c.d. legge Severino. Forse anche per questo vari esponenti della coalizione risultata poi vincente alle elezioni avevano proposto di abrogarla, con diverse motivazioni. E anche uno dei quesiti referendari formulati da Salvini e appoggiati dal centro-destra prevedeva proprio questa soluzione, avversata, invece, dalla sinistra, perché ritenuta finalizzata soltanto a favorire la problematica posizione personale del leader di Forza Italia.
Certo è che quello della Giustizia è uno dei dicasteri più ambiti, ma anche più problematici, a causa delle tante conflittualità che continuamente si formano nel rapporto tra magistrati (che temono di perdere la loro indipendenza e la loro autonomia organizzativa) e politici (che, molto spesso, vorrebbero limitarne il raggio di azione e il potere). E, proprio con riferimento al prossimo governo italiano, sono state fatte molte previsioni soprattutto sulla nomina del Ministro della Giustizia: sono circolati i nomi di Carlo Nordio, Giulia Bongiorno, Maria Elisabetta Casellati, Francesco Paolo Sisto, Nicola Gratteri … Chi potrebbe spuntarla?
Il principale e più difficile problema di chi sarà chiamato a svolgere questo ruolo non è tanto (e solo) quello di realizzare le attese e delicate riforme (che, pure sono attesissime e indilazionabili), bensì quello di garantire uno stabile e fruttuoso rapporto collaborativo con la categoria dei magistrati (notoriamente ostica a subire vere, o supposte, pressioni dalla classe politica) che possa assicurare un costante dialogo costruttivo in grado di evitare (o di risolvere) conflittualità quotidiane sulle più varie questioni.
Quindi, l’auspicabile profilo di guardasigilli dovrebbe, anzitutto, essere quello di una persona (pur se non un tecnico) che goda anche della stima e del gradimento dei rappresentanti dei magistrati e sappia mediare e interpretarne le istanze.
Non mi pare che la sen. Casellati abbia questa caratteristica, perché viene diffusamente percepita come filo-berlusconiana ad oltranza e zelante interprete di tutte le istanze del Cavaliere. Anche la partecipazione della Casellati alla manifestazione organizzata (nel marzo 2013) davanti al Palazzo di Giustizia di Milano, per protestare contro le presunte persecuzioni giudiziarie ai danni di Berlusconi, ha molto contribuito a ricucirle addosso questo (supposto) esasperato filo-berlusconismo, poco compatibile con la carica di Ministro della Giustizia.
Carlo Nordio, a parte la sua abituale e incomprensibile propensione a identificare i problemi della Giustizia come riferiti al solo settore penale (non essendosi occupato mai, ma proprio mai, di giustizia civile) sconta non poco una qualche avversione da parte della magistratura associata, da lui sempre avversata e bacchettata (anche a sproposito), nonché accusata di parzialità e di politicizzazione. Tanto più che, dopo aver sempre predicato, con la consueta intransigenza, l’inopportunità che i magistrati scendano in politica, pur se dopo la loro uscita dall’ordine giudiziario, ha, lui stesso, incoerentemente, smentito i suoi proclamati e rigidi principi etici, accettando di diventare candidato nella formazione di Fratelli d’Italia. Infine, nella sua carriera (fatta solo di diritto penale) non ha mai avuto l’opportunità di occuparsi, in concreto, di organizzazione di servizi giudiziari, talché la sua tanto conclamata conoscenza del settore giudiziario, in definitiva è assai poca cosa.
Giulia Bongiorno sembra subire la resistenza dei leghisti della prima ora, i “duri e puri” lombardi e veneti, che, intorno a Bossi, avevano fondato il movimento e che si sono, poi, opposti alla politica di Salvini, che lo avrebbe annacquato, facendone un partito nazionale. Le perplessità per un incarico di governo (soprattutto come ministro della Giustizia) alla Bongiorno, in quota Lega sono sempre più diffuse. Non a caso il successo elettorale di Giorgia Meloni si è verificato soprattutto per la annunciata massiccia transumanza di molti leghisti veneti e lombardi verso la formazione politica di quest’ultima.
Si aggiunga che le frizioni registrate all’interno della nuova maggioranza in occasione dell’elezione del presidente del Senato potrebbero avere non poche ripercussioni nella formazione del governo, a causa delle compensazioni che saranno verosimilmente pretese quando sarà attribuito (alla Meloni) l’incarico di compilare la lista dei destinatari degli incarichi nei dicasteri.
In questo contesto di incertezza e di discussioni prodromiche all’accordo, si fa strada, dopo Francesco Paolo Sisto di Bari, già sottosegretario alla Giustizia (con Draghi, però, e Cartabia, non il massimo per FdI) e avvocato penalista, di recente rieletto in quota Forza Italia, anche Pierantonio Zanettin, esso pure rieletto, e per la quinta volta, nelle liste di Forza Italia, avvocato di Vicenza e stimato professionalmente, oltre che personalmente, dal suocero prof. avv. Franco Coppi, uno dei difensori chiave del leader di FI.
Zanettin, poi se non prima, non è “nemico” di alcuno, è accreditato da anni di lavoro soprattutto nell’area giustizia degli azzurri e, oltre ad aver appena presieduto la “molto delicata” Commissione di inchiesta sulla morte di David Rossi, ha maturato anche un’importante esperienza da suo membro laico nel Consiglio Superiore della Magistratura, le cui dinamiche gli sono ben note.
Il parlamentare vicentino, anche se da anni vive anche a Roma, gode, altresì e non è poco, di un’ottima considerazione professionale da parte della magistratura, che lo ha sempre considerato un moderato dialogante.
Ma – come si è detto – tutte queste possibili indicazioni, anche quella per il Ministro della Giustizia, scontano, comunque, l’estrema incertezza della situazione, soprattutto dopo il singolare svolgimento della nomina del presidente del Senato: il senatore La Russa di Fratelli d’Italia è stato eletto senza il voto di tutti i rappresentanti di Forza Italia e questo fatto ben potrebbe scompigliare le previsioni e gli accordi precedenti e dar luogo a ritorsioni, dagli imprevedibili esiti.
Come si vede, una coalizione elettorale non è necessariamente anche una coalizione politica. Tutto è ancora possibile.