L’incontro tra Orbán Viktor e Aung San Suu Kyi – scrive Mirko De Carli, Coordinatore Alta Italia del Popolo della Famiglia – riapre la grande ferita del nostro continente: saremo capaci o no, in questa nuova legislatura parlamentare europea, di affrontare l’annosa questione dell’immigrazione clandestina e i processi inevitabili di rimpatrio dei migranti irregolari presenti nel nostro territorio? Un dato è certo: i vari esperimenti di integrazione multiculturale messi in atto nell’Europa centrale non hanno prodotto i frutti sperati e, anzi, hanno alimentato un crescente “odio” verso la cultura occidentale da parte dei giovani, figli di migranti di seconda o terza generazione, attratti maldestramente dai richiami roboanti del fondamentalismo islamico dilagante sul web (e non solo). L’Europa è sempre di più una polveriera che rischia di accendersi con esplosioni impreviste nei punti più “minati” da una mala gestione dei flussi migratori. Non è possibile pensare di essere in grado ancora di accogliere un quantitativo illimitato di migranti economici per i prossimi anni: occorrono regole certe e concordate con i singoli stati. Per questo è ragionevole auspicare un forte pronunciamento della nuova Commissione Europea, non appena insediata, per promuovere una serie di indirizzi tesi a definire annualmente delle quote di migranti economici concordate con i singoli Stati (in base alle loro necessità) da collocare in Ue attraverso veri e propri canali umanitari. Fatto salvo, naturalmente, il riconoscimento del diritto internazionale d’asilo a chi spetta, previa una seria rivisitazione dei Trattati di Dublino attraverso il superamento dell’obbligo di riconoscimento di tale diritto al paese di primo soccorso per il migrante e alla necessaria approvazione di un diritto d’asilo europeo. Rimarrebbe però un altro annoso problema: la gestione dei migranti irregolari già presenti nel nostro territorio. Per loro occorre un vero e proprio Piano Marshall mirato a creare veri e propri canali di rimpatrio garantendogli, nei loro paesi d’origine, un posto di lavoro e un tetto sopra la testa per le loro famiglie. Per arrivare a questo per prima cosa occorre promuovere una direttiva che sanzioni le multinazionali europee che fanno affari con i dittatori africani e penalizzarle fiscalmente se favoriscono uno sviluppo dei loro affari nei paesi africani senza garantire il giusto rispetto di un benessere diffuso per le popolazioni autoctone. In second’ordine va poi creato un vero e proprio monitoraggio dell’uso dei fondi destinati al Piano Marshall per l’Africa coordinati dagli enti preposti di Ue e Nazioni Unite. Solo così i focolai di estremismo islamico, alimentati dai ghetti creati dal multiculturalismo europeo e dalla povertà sempre più dilagante che produce una violenta e accesa guerra tra poveri (europei e stranieri), saranno spenti e si potrà favorire un reale processo d’integrazione tra chi veramente vuole essere e sentirsi europeo (anche se non nato in Europa).