Con grande meraviglia – scrive il Segretario generale Fimmg Veneto Domenico Crisarà – abbiamo letto l’articolo “Lombardia e Veneto: due approcci a confronto Covid-19” pubblicato il 18 aprile sul sito scienzainrete a firma di Nancy Binkin, Federica Michieletto, Stefania Salmaso, Francesca Russo e ripreso dal diverse agenzie.
Lo stupore dei medici di medicina generale è vedere come la realtà dei fatti è stata alterata per attribuirsi meriti che non spettano e avvilire lo sforzo e l’abnegazione di più di tremila professionisti verso i cittadini veneti. Ci riferiamo al passaggio compreso nella parte dell’articolo che sottolinea le differenze dell’approccio veneto e quello lombardo.
Sostenere che:
La maggiore integrazione dei servizi sanitari e ospedalieri del Veneto a livello locale e la presenza di una forte infrastruttura sanitaria pubblica hanno favorito l’implementazione di un iniziale approccio comunitario, che si basava su solidi principi epidemiologici: test a tappeto, tracciamento dei contatti e limitazione del contatto con le strutture sanitarie, ove possibile attraverso team diagnostici mobili e un attento monitoraggio a domicilio. Il tutto facilitato da una rapida comunicazione attraverso un sistema informatico che collegava il laboratorio, i medici di base e le unità sanitarie pubbliche locali.
è una grande inesattezza. Ai medici di famiglia, dopo molte insistenze, veniva concesso l’accesso ad un portale regionale non sempre aggiornato in tempo reale. Solo negli ultimi tempi ci viene fatta una comunicazione via mail aziendale.
Ancora più fantasiosa è l’affermazione :
L’approccio veneto di proteggere i medici di medicina generale nella comunità, privilegiando le visite telefoniche piuttosto che quelle di persona e utilizzando un’équipe sanitaria pubblica mobile per ottenere campioni e valutare le condizioni dei pazienti in monitoraggio domiciliare, sembra avere consentito alla regione di poter proteggere la salute dei professionisti e contribuito a limitare il loro ruolo nell’amplificazione della diffusione del virus nella comunità.
Non c’è stato nessun tipo di approccio verso i Medici di Medici di Medicina Generale del Veneto e soprattutto nessuna protezione. I Medici di famiglia si sono autorganizzati come testimonia la comunicazione della Fimmg del 9 marzo.
Sono stati distribuiti DPI in quantità risibili (mediamente 3 mascherine chirurgiche, 5 paia di guanti, 1 sovracamice in tessuto non tessuto a giorni alterni) per cui è stato necessario ricorrere a generose donazioni private, ancora oggi, in alcune AULSS il numero dei medici di famiglia che hanno ricevuto il primo tampone non supera il 40%.
Alla data odierna le organizzazioni dei medici di famiglia non hanno avuto nessun contatto ufficiale con la Protezione Civile o il Dipartimento di Prevenzione se non un infinito contenzioso sulle certificazioni.
Una cosa è vera: la stretta rete che esiste tra la medicina di famiglia e la rete territoriale dei distretti socio sanitari. Questa rete nasce da decenni di collaborazione tra la medicina generale e queste strutture nel campo dell’assistenza domiciliare dei pazienti fragili e della residenzialità.
Infatti, altra caratteristica quasi esclusiva del Veneto: nelle RSA l’assistenza sanitaria agli ospiti è garantita dal medico di famiglia cosa che potrebbe rappresentare probabilmente un altro elemento di differenza con la Lombardia.
In ogni caso l’assistenza ambulatoriale, domiciliare e la raggiungibilità telefonica per tutta la giornata è garantita alla popolazione veneta dal proprio medico di famiglia anche in presenza di positività al Covid-19. Il sistema delle USCA stenta a partire anche per carenze assicurative.
In definitiva il successo del modello veneto nasce sicuramente da scelte politiche felici che si sono incardinate in un tessuto connettivo territoriale che prescinde dai dipartimenti di prevenzione e vive delle proprie capacità di sinergia sviluppate negli anni grazie ad una politica sanitaria regionale che ha incentivato il servizio pubblico ed investito sul territorio.
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