Due tra le parole venete più diffuse e usate vengono dall’austriaco. Spriss e schei, infatti, il famoso aperitivo e il modo di chiamare i soldi, che dà anche il titolo a un noto libro di Gian Antonio Stella, vengono dal verbo “spritzen”, spruzzare, e dal sostantivo “Scheidemünze”, che era la moneta imposta dagli austroungarici di Checco Beppe (l’imperatore Francesco Giuseppe) ai tempi del regno lombardo-veneto (münze significa moneta). La parola si pronuncia “shaidemiunze” ma a Venezia, leggendola come si scrive, diventava “skei de” (cioè letteralmente soldi di) munze. E così lo skeo è diventato il soldo. “Münze” poi è diventato “mona”.
Nel parlare comune la moneta di Checco Beppe veniva poi chiamata “schei de mona”. “Mona” è una parola di origine incerta che in veneto indica l’organo sessuale femminile, ma anche la ragazza in generale, ma anche una persona particolarmente stupida o ingenua e credulona, oltre che una tipica imprecazione assimilabile all’italiano “ma va a quel paese” (“ma va in mona”). La legge dell’epoca, in mancanza di bancomat e carte di credito, imponeva che chi avesse in tasca meno di 5 Scheidemünze venisse arrestato per vagabondaggio. E così si è creato un ulteriore modo di dire “avere in scarsea sinque schei de mona”, (in alcune zone zinque) “avere in tasca cinque monete”, soglia minima per non essere considerato un “poro can”.
(Fonte e foto: Il Veneto imbruttito e Domenico Sparapano)
(Iª pubblicazione il 27 luglio 2020)
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