Dopo aver ripercorso le vicende storiche che hanno plasmato la città di Formia e dei due rioni che costituirono il suo nucleo originario, è il momento di approfondire la cultura del borgo marinaro di Mola.
La “vecchia Mola”, così diversa da quella di oggi. Varie vicissitudini, scelte urbanistiche più o meno necessarie dettate da un sempre più veloce sviluppo, hanno rimodellato più volte l’aspetto di questo rione dalle origini antichissime. La guerra poi, qui più che altrove, ha lasciato segni indelebili. Le foto e le cartoline d’epoca mandano saluti da una città che i giovani conoscono forse ancora meno di quei villeggianti che tanti anni fa le spedirono.
La Mola pre-guerra è un antico borgo del centro-sud Italia. Poche famiglie, i bambini che giocano per le strade, “tutti figli di tutti”, come amano ricordare gli anziani. Le persone sono conosciute con dei soprannomi in dialetto, che ne richiamano il mestiere, le caratteristiche fisiche o perfino qualche atto di coraggio compiuto in gioventù.
I limiti del borgo sono l’odierna Piazza Risorgimento, allora località Ponte di Mola, dove si tiene gliu murcheto (il mercato, poi trasferito a Largo Paone), che segna il confine orientale con il territorio di Maranola, mentre ad ovest si ricongiunge con Castellone nei pressi dell’odierna via Lavanga, sul tracciato dell’Appia antica.
Le botteghe che animano la vita del rione sono quelle degli artigiani: marmisti, falegnami. Le fabbriche sorgono a ridosso del borgo e danno lavoro e sostentamento a buona parte delle famiglie. Ancora una volta è l’acqua a determinare lo sviluppo delle attività: ne sfruttano le potenzialità una fabbrica di gesso, che sorge lungo il Rio Fresco, e il pastificio Paone, che sfrutta le sorgenti sotterranee che partono dalle vicine montagne, nonché il vento che soffia dal mare che favorisce una veloce essiccazione.
La vocazione naturale di un borgo marinaro è, però, la pesca. Fino al primo dopoguerra, lungo il versante ovest corre una spiaggia, dalla quale i pescatori, con le loro barche, salpano ogni giorno per gettare le loro reti. Le violente mareggiate creano però ingenti danni agli edifici che sorgono pericolosamente a ridosso del mare. È così che Domenico Paone, proprietario del pastificio, costruisce a sue spese e dona alla città una barriera che tenga lontana la furia del mare, e allo stesso tempo abbia un’ampia terrazza per ammirarlo.
Nei pressi della Torre di Mola, i pontili di ferro che si allungano dalla terraferma accolgono le navi mercantili che scaricano le materie prime e caricano merci lavorate nel territorio. La posizione strategica tra Roma e Napoli porta con sé la necessità di adattare la viabilità e la mobilità: nel 1922 viene anche inaugurata la stazione ferroviaria nel rione Castellone. Gli stretti vicoli non sono più sufficienti a soddisfare il sempre crescente flusso di persone e cose e urge trovare una soluzione: quella per cui si opta è, purtroppo, poco rispettosa della natura del borgo. Nasce così la nuova via Emanuele Filiberto e a farne le spese sono alcuni edifici storici e la “Porta dei Francesi”, anche detta “dell’orologio”.
Si potrebbe dire, però, che questi interventi, che pure trasformano lentamente i connotati di una città, sono comunque figli di un progresso che poteva cambiare per il meglio la vita di tante persone.
C’è una data in particolare che è nella storia di questo borgo, come dell’intera città: il 10 settembre 1943. Un bombardamento notturno cancella in pochi istanti vite, edifici, certezze. La “colpa” di Formia? Trovarsi a ridosso della linea Gustav. A violare la città non solo le bombe, ma i anche rastrellamenti, le fucilazioni e l’occupazione delle case da parte dei nazisti assetati di vendicative rappresaglie in seguito all’armistizio. Come avevano fatto i loro antichi concittadini più di un millennio prima, i formiani riparano sulle montagne per sfuggire all’occupante, prima alleato, patendo la fame, le malattie e la paura. Uno spartiacque, quell’anno buio, che porta con sé l’amara consapevolezza che ciò che è stato non potrà mai più essere come prima.
La ricostruzione non può permettersi di riprodurre in toto ciò che era stato distrutto. Il periodo post bellico si traduce quindi per Mola in una serie di cambiamenti. Tra questi, l’ampliamento del Largo Paone a spese del mare: le macerie delle case bombardate sono le fondamenta su cui poggia il piazzale. Negli anni ’50, la costruzione di un viadotto sottrae ulteriore terreno al mare ed erige come un muro tra Mola e il suo elemento naturale. Grazie a fondi svizzeri, inizia alla fine degli anni ’40 la costruzione di un grande ospedale, che potesse servire Formia, le città limitrofe e le isole pontine e che ancora oggi porta il nome di “Dono Svizzero”.
I giovani formiani di oggi sono i nipoti della generazione che per ultima ha vissuto il borgo prima di quei mesi terribili. La guerra e tutto ciò che ne è seguito, persino gli avvenimenti più favorevoli, hanno stravolto troppo il corso degli eventi che sarebbe stato, portandosi via la memoria di vecchie tradizioni, leggende popolari e perfino il dialetto, sempre meno conosciuto.
I segni di ciò che accade non si possono cancellare, e il cambiamento che ne segue è inevitabile. Mola, però, seppur stravolta nell’aspetto e nell’anima, è ancora qui, con i suoi pescatori, i giovani che qui si ritrovano per la vita notturna, la Torre che continua a vegliare silenziosamente sul rione. Del Resto, “Post Fata Resurgo” è il motto della città di Formia.