Caro Direttore, in politica ci sono benedizioni che sono più pericolose di un’estrema unzione. E quella che due settimane fa Carlo Bonomi ha impartito a Roberto Gualtieri, a differenza del mitico “Stai sereno” rivolto da Matteo Renzi a Enrico Letta, era anche sincera.
Il presidente di Confindustria, ospite di uno dei tanti talk show televisivi che “smarmellano” la politica senza sosta, aveva affermato di non voler indicare nomi per il costituendo governo di Mario Draghi. Ma poi aveva detto di voler fare una sola eccezione: “Credo che alcune persone del governo debbano essere mantenute, faccio riferimento al ministro dell’Economia” perché “non ci possiamo permettere cambiamenti in corsa, serve stabilità“. E aveva aggiunto che il suo giudizio su Roberto Gualtieri “è di metodo e di merito. Ricordiamoci che quel che portiamo a casa con il Recovery è merito suo“. Appunto.
Di solito, quando Bonomi boccia una richiesta di rinnovo contrattuale perché “non ci sono soldi”, passano pochi giorni e i “suoi” chiudono il contratto collettivo con i sindacati, aumenti compresi. Qui, evidentemente, ha indicato il Recovery come metro di giudizio del ministro dell’Economia e così facendo ce lo ha puntualmente impiccato.
Fa un po’ tenerezza anche come quel che resta dei giornaloni, a cominciare da “Corriere” e “Repubblica”, si sia prontamente dimenticato di un brav’uomo come Gualtieri, 54 anni, romanissimo, pacioso storico con dottorato di ricerca nella prestigiosa San Marino. Tutti presi dalla lode preventiva del governo dei “competenti”, ammirati di fronte a curriculum di personaggi del calibro di Maria Stella Gelmini e Andrea Orlando (neppure laureato, chissà l’orrore di Draghi), ci si è dimenticati in fretta del povero, onesto, dignitosissimo, Gualtieri. Nella lista dei ministri che hanno giurato ieri ci sono ben nove conferme del Conte bis e lui non c’è. E già questo dice tutto. Il “giudizio di merito” di Draghi e Mattarella sul Recovery, il giudizio che Bonomi auspicava, è arrivato eccome ed è una sonora bocciatura di fronte alla quale ora tutti si voltano dall’altra parte.
Al posto di Gualtieri arriva in Via XX Settembre Daniele Franco, veneto di Trichiana, nel Bellunese. Si troverà sulla scrivania, in bella vista, quella rogna maleodorante del Monte dei Paschi di Siena, sul cui “risanamento” negli anni del centrosinistra è in arrivo una nuova sentenza del tribunale di Milano, dopo quella che ha già condannato in primo grado Alessandro Profumo e Fabrizio Viola. Profumo, oltre a tutto, è amministratore delegato di Leonardo e in primavera Franco dovrà decidere se confermarlo. I lettori di questa testata web conoscono bene questa storia, perché è andata al contrario di Popolare di Vicenza e Veneto Banca, i cui azionisti sono stati massacrati e hanno perso tutto perché non avevano peso politico.
Invece Mps, da sempre la “banca dei compagni”, è stata salvata con 5,5 miliardi di euro dei contribuenti (oggi in Borsa ne vale a stento un quinto) e ha bisogno di un nuovo aumento di capitale da 2,5 miliardi, altrimenti salta per aria. Ma no, tranquilli, non può saltare per aria, il Monte, perché finirebbero in tanti nelle patrie galere. E allora ecco che il buon Gualtieri, insieme al dg del Tesoro Alessandro Rivera, cercava di piazzare Mps in mani amiche, ovvero Unicredit, casualmente presieduta da Pier Carlo Padoan, ex ministro Pd che comprò il 64% del Montepaschi e poi fu eletto senatore, sempre per caso, a Siena. Vedremo che faranno Draghi e Franco, su questo papocchio.
Gualtieri, comunque, non resterà disoccupato perché quella di Bonomi non sarà quella estrema ma solo l’unzione degli infermi perché con ogni probabilità lui, comunque già eletto deputato a Roma, sarà candidato dal Pd come sindaco della Capitale, per la gioia di Claudio Mancini, tesoriere romano del partito e suo grande sponsor, insieme ai migliori (o peggiori?) costruttori della Capitale.
Resta da ricordare, per doverosa completezza, che la micidiale profezia del primo febbraio di Bonomi Carlo conteneva anche un secco “no” alla patrimoniale: “Una patrimoniale non risolve nulla”. In viale dell’Astronomia hanno già fatto secco Gualtieri, e pazienza, ma per i nostri risparmi speriamo bene.
Francesco Bonazzi
(Torino, 1968). Si è laureato in legge a Pavia nel 1992. Ha lavorato all’Ansa dal 1992 al 1999 a Roma, Milano e Washington, occupandosi di economia e finanza. A fine 1999 è passato all’Espresso, dove ha firmato decine di inchieste. Nel 2009 è stato uno dei fondatori del Fatto Quotidiano. Tra il 2010 e il 2014 ha fatto l’inviato speciale per Il Secolo XIX. Ha lasciato il quotidiano genovese per fare prima il vicedirettore di Dagospia e poi il vicedirettore della Notizia. Firma su La Verità e Panorama ed è corrispondente dall’Italia di Alliance News.
Quando può ci onora di sue osservazioni e considerazioni, che abbiamo deciso con lui di chiamare “molestie al direttore), ed è autore, tra gli altri, di La rivoluzione senza nome. Credere, disobbedire, combattere; Viva l’Italia! Contro l’economia della paura. Perché non siamo il malato d’Europa; Prendo i soldi e scappo. I loro affari con i nostri soldi
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