Morti sul lavoro. Qual è la realtà includendo le lavoratrici e i lavoratori non assicurati Inail?

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Morti sul lavoro, come ombre
Morti sul lavoro, come ombre

Ieri, 9 ottobre, era la “Giornata nazionale per le vittime degli incidenti sul lavoro“, i morti sul lavoro. Molti hanno parlato, riportando numeri e indignazione, di questa tragedia che, troppo spesso, viene sottovalutata e considerata, di fatto, qualcosa di normale e ineludibile. La chiamano “emergenza”, una emergenza che, visto che sta durando da troppo tempo,  è diventata “endemica”.

Il 30 settembre si poteva leggere su varie testate giornalistiche questa notizia: “Inail, infortuni sul lavoro nel 2022: quasi 500mila denunce, calano i morti”. Il periodo interessato era quello tra gennaio e agosto. Si comunicava un calo delle “morti bianche” del 12,3%. Inail conteggia le denunce che sono pervenute nei suoi uffici e, per quanto riguarda i decessi somma quelli per infortunio nei luoghi di lavoro con quelli in itinere.

Ma quei dati, certamente veri con la specificazione sopra riportata, plausibilmente sono parziali perché non comprendono le lavoratrici e i lavoratori non assicurati Inail. Sono tantissimi. Ora (in una situazione come quella che viviamo con il lavoro sempre più precario e spesso in nero, con le partite iva vere o false, con una miriade di contratti atipici, con intere categorie che non sono “considerate” da Inail, con la probabile mancanza di denunce per i casi che potrebbero risultare non del tutto legali) appare lecito dubitare che quei dati non riassumano realisticamente la reale situazione riguardo la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro.

Questa “carenza” viene ostinatamente evidenziata da Carlo Soricelli che, da circa quindici anni, pubblica sul suo Osservatorio Nazionale di Bologna morti sul lavoro i dati che ricava e certifica (archiviando le informazioni necessarie a individuare chi, dove e quando è avvenuto il decesso) con un paziente e doloroso lavoro di ricerca tra le notizie, spesso nascoste, che vengono pubblicate dai media nazionali e locali.

E, così, veniamo a conoscenza che la realtà (quella che ha la testa dura) è ben diversa da quella “ufficiale”. Se si mettono in relazione i dati dei morti per infortunio nei luoghi di lavoro da inizio anno al 5 ottobre 2022 (613) con quelli di una data comparabile del 2021 (560 al 9 ottobre) e del 2018 (572 al 10 ottobre) si nota che c’è stato un aumento di 53 unità tra quest’anno e l’anno scorso e di 41 con l’anno, prima della pandemia, che ha visto un picco di morti.

Di cosa stiamo parlando, quindi? Che il “trend”, in definitiva, dimostra che si sta procedendo nella direzione giusta?

Siamo di fronte alla notizia di una “diminuzione ufficiale” di morti nei luoghi di lavoro che ci dice alcune cose. Innanzitutto che non è vero che il lavoro sia più sicuro di qualche tempo fa. Poi che queste “statistiche” possono essere parziali perché partono da presupposti che non tengono conto di una area vasta di lavoratrici e lavoratori che sono i meno garantiti e, quindi, maggiormente in pericolo. E, infine, che il modello di sviluppo è, evidentemente, “sbagliato”. Perché non protegge chi effettivamente produce ricchezza con il proprio lavoro, perché riduce chi lavora a essere considerato un numero, un ingranaggio, un costo (del resto, non viene definito “capitale umano”?), perché i diritti e le garanzie di sopravvivere per chi lavora sono meno importanti del profitto individuale.

Le “morti bianche” dovrebbero essere, spesso, definite “omicidi sul lavoro” perché frutto di meccanismi che sono tutto meno che destinati a far vivere meglio e con maggiore serenità chi lavora.

Meccanismi di un sistema che riduce gli esseri umani a numeri, soltanto numeri.