Pubblicato alle 11.39, aggiornato alle 15.04 dopo nuovi incidente mortale a Padova. Da inizio anno al 12 maggio, in Italia, sono 255 i morti sui luoghi di lavoro. Nel Veneto, che guida la tragica classifica tra le regioni, sono 29. Il 30 aprile i morti erano 221. Si facciano i conti: 34 morti in dodici giorni. Questa mattina, alle Acciaierie Venete di Padova, 4 operai sono stati investiti da una colata di acciaio incandescente e da una “bomba di aria calda”. Due hanno riportato ustioni sul 100% del corpo e sono in condizioni disperate. Uno ha ustioni sul 70% del corpo ed è gravissimo.
Il quarto è meno grave. Un’altra tragedia del lavoro, l’ennesima, dovuta (come afferma il responsabile siderurgia della Fiom), al fatto che “in quello stabilimento erano emersi problemi legati agli orari di lavoro” e che “si lavora in condizioni molto pericolose”.
Il massacro di lavoratori è senza fine. Ma la “questione” dei morti sul lavoro viene sottovalutata. Una “fatalità” che non ha mai responsabili. Così, al di là di qualche presa di posizione, qualche comunicato quando si verificano “casi particolari” o la promessa di “fare qualcosa”, nulla si muove.
I lavoratori continuano a morire e non è un caso, non può esserlo. Sono i turni di lavoro, la fatica che impone un lavoro sempre più “competitivo” (si deve leggere, alienante e precario) dove lavoratrici e lavoratori sono sempre più sfruttati. Dove il ricatto di “perdere il posto” (tanto si può essere sostituiti in qualsiasi momento) porta ad accettare (consciamente o meno) qualsiasi condizione di sicurezza, di salario, di orario, di fatica… Bisogna “correre” per finire in fretta, per “produrre di più”. Bisogna essere “produttivi” e “competitivi” a qualsiasi prezzo. E tutto per garantire benefici all’impresa, al padrone di guadagnare. Non sarà schiavitù, per carità. Così ci dicono. Se uno non vuole può cercare un altro posto di lavoro, che non è costretto a restare, che può andarsene. Non sarà schiavitù, forse, ma poco ci manca. E forse è peggio perché esiste anche l’illusione di essere liberi. Ma che libertà è quella di non trovare altro che sfruttamento, bassi salari, poca (o nessuna) sicurezza? E si è liberi quando si viene considerati nulla più di un pezzo di ricambio?
Così di lavoro e nel lavoro si viene ammazzati. Così il lavoro diventa una condanna e non un modo nobile di riscatto, di conoscenza, di essere protagonisti dello sviluppo collettivo. Le lavoratrici e i lavoratori non sono strumenti, sono persone che hanno il diritto di vivere.
“Lavorare stanca” scriveva il poeta. Non solo. Oggi, in questo sistema capitalista che ci viene imposto con le buone o con le cattive, lavorare uccide.