Funzionerà per davvero o sarà destinato a incepparsi, magari a causa della sabbia che si insinua nei delicati meccanismi idraulici? Vale la pena finirlo? E quanto costerà alla fine una contestatissima opera, che nel tempo ha visto la spesa lievitare da 1,6 a 5 miliardi di euro? E quante decine di milioni all?anno saranno necessarie per la manutenzione, rebus contabile tuttora irrisolto? Il Mose, acronimo del Modulo sperimentale elettromeccanico, è l?opera faraonica che dovrebbe salvare Venezia dalle acque alte.
Pensata più di vent?anni fa quale contributo principale (ma non esclusivo) alla salvaguardia della Laguna, è stata cantierata nel 2003. È un intervento bipartisan, perché tutti i governi hanno autorizzato i finanziamenti, rivelatisi drammaticamente ? con l?inchiesta e gli arresti del 2014 ? un?enorme mangiatoia per imprenditori, politici, amministratori, esponenti di articolazioni dello Stato, a cominciare dal Magistrato alle Acque. Ma quella è una storia giudiziaria nota e quasi conclusa, a suon di condanne e patteggiamenti. In cima a tutti quello del governatore del Veneto Giancarlo Galan, 2 anni e 4 mesi patteggiati per corruzione, 2,5 milioni restituiti e altri 5,8 chiesti dalla Corte dei Conti; anche se il dominus del Mose e del sistema tangentizio, l?ingegnere Giovanni Mazzacurati, presidente del Consorzio Venezia Nuova, è da anni negli Usa, vecchio e incapace di ricordare. Sostanzialmente impunito.
Fine lavori. La storia attuale è quella, non meno inquietante e onerosa, del fine-lavori fissato al dicembre 2021. A darne conto sono i commissari del Consorzio Venezia Nuova. Nominati (dal prefetto di Roma), su richiesta del presidente dell?Autorità anticorruzione, Raffaele Cantone, quando si è capito che l?organismo era incapace di portare a termine l?opera con trasparenza. Pochi giorni fa l?ingegnere Francesco Ossola e l?avvocato Giuseppe Fiengo sono comparsi davanti alla commissione Ambiente della Camera e hanno fornito la sintesi più aggiornata. Dati tecnici, scadenze, ma anche la descrizione di un sistema economico-imprenditoriale che, già inconsueto per via della concessione unica (che autorizza gli affidamenti diretti degli appalti, cioè senza gara), è andato fuori controllo, in una spirale di malaffare e sprechi di soldi pubblici.
I soldi che mancano. Ossola descrive la situazione con toni abbastanza ottimistici: ?Le opere eseguite hanno raggiunto il 93%. A fine 2018 verrà ultimata la posa delle 78 paratie mobili alle bocche di porto. A gennaio 2019 cominceranno le prove di funzionamento. La fase d?avvio sarà ultimata a fine 2021?. Problemi di finanziamenti? I soldi per ora ci sono, ma per completare tutto dovranno arrivare ancora circa 500 milioni di euro. L?opera è valida? Secondo i commissari ?L?idea è buona, il progetto è serio?. I problemi sarebbero semmai relativi a ?una situazione di scarso collegamento tra le imprese che controllano il Consorzio Venezia Nuova, con una grande fatica a mettere assieme le parti?.
Tutte le criticità. Ma poi comincia il capitolo delle criticità, per malfunzionamento o deperimento delle strutture, già quantificate in 100 milioni di euro. Si va dalla corrosione delle paratoie, alla fessurazione dei cassoni, al deposito di sabbia. ?È una somma che corrisponde al 2% per cento dell?intera opera, una dimensione fisiologica. Abbiamo impiegato 15 milioni per gli studi di cosa va fatto e per gli interventi di emergenza. Servono 85 milioni per una soluzione definitiva. Ma le risorse le abbiamo trovate nelle pieghe del budget e quindi non c?è aggravio di spesa?. Da almeno un anno la lista delle criticità però si allunga. Replica Ossola: ?Prendiamo le fessurazioni nei cassoni, che pesano ciascuno 22 mila tonnellate e sono composti di 10 mila metri cubi di calcestruzzo. Tutti i calcestruzzi hanno fessurazioni, con un dato non raggiungibile di perfezione di 0,10 millimetri. Noi siamo a 0,12-0,15 millimetri. Ampiamente all?interno dell?accettabilità?. I costi futuri di manutenzione, ipotizzati in 80 milioni di euro l?anno? ?Per sapere meglio quali saranno bisognerebbe smontare due paratie, sostituirle con quelle di riserva, portarle nel cantiere, ripulirle e tinteggiarle, poi rimetterle in loco. Solo così possiamo quantificare i costi futuri?. Che rischiano di essere appesantiti da aspetti burocratici. Un esempio. ?Solo a Venezia i sedimenti (sabbia e fango che si depositano nella struttura ndr) vengono considerati come rifiuti e come tali vanno trattati. Ma ciò costa dieci volte di più. Da due anni facciamo conferenze di servizi: abbiamo trovato solo resistenze, perché il trattamento dei sedimenti come rifiuti è un affare lucroso per chi lo fa?.
Disastri finanziari. Il futuro del Mose è affidato anche a queste problematiche. Il passato è un intreccio di interessi delle tre imprese che del Consorzio sono state padrone assolute: Fincosit, Condotte e la veneta Mantovani di Piergiorgio Baita. ?Assieme hanno un deficit di un miliardo di euro, contratto per altre attività, non dal Mose?, spiegano i commissari. Le prime due sono in amministrazione controllata, la Mantovani sta facendo uno spezzatino societario, cedendo rami d?azienda. ?Per il Mose hanno fatto la scelta di subappaltare, limitandosi alle intermediazioni. Abbiamo chiesto le carte di tutto – spiegano ancora i commissari – ma abbiamo trovato resistenze. Il progettista è stato allontanato dall?ultima gestione, per cinque anni, noi lo abbiamo richiamato per ridare continuità?. Gli effetti? ?Le parti tecniche sono deboli, raccogliticce? Mancavano i progetti ambientali?. In pratica, le tre imprese (poi inquisite) decidevano tutto e incassavano, senza controlli. ?Era un meccanismo sofisticato, sperimentato. Abbiamo dovuto smantellarlo?. Tutto nascosto in un mare di 300 mila documenti (di cui solo 52 mila per ora scansiti).
Uno scenario che non aiuta a fugare i dubbi sulla funzionalità e la validità dell?opera che dovrebbe salvare la laguna di Venezia.