Mose, trovato il tesoro di Galan in Croazia

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Il giovane Luca Zaia e il suo predecessore Giancarlo GalanIl giovane Luca Zaia e il suo predecessore Giancarlo Galan
Il giovane Luca Zaia e il suo predecessore Giancarlo Galan

Dopo l’inchiesta del 2014 sulle tangenti del Mose (sistema di dighe mobili per la salvaguardia della Laguna di Venezia), costato fino a oggi 5 miliardi e che sarà forse inaugurato nel 2021, restava da capire che fine avesse fatto il frutto delle tangenti intascate da Giancarlo Galan, il politico di Forza Italia più potente del Nord-Est, amico di Dell’Utri, ex presidente della Regione Veneto, due volte ministro nei governi Berlusconi, che ha patteggiato una condanna a due anni e dieci mesi per corruzione.

Il Nucleo economico-finanziario della Gdf di Venezia, diretto dal colonnello Gianluca Campana, grazie a un’indagine complessa durata 4 anni, coordinata dal pm della Procura veneta Stefano Ancellotti, ha scovato 12 milioni e 300 mila euro nascosti in paradisi fiscali, conti schermati, quote societarie e conti bancari in Croazia. Sei gli indagati per riciclaggio ed esercizio abusivo di attività finanziaria per aver “prestato la propria opera di intermediazione per riciclare i capitali illeciti riconducibili a Galan”: i commercialisti Paolo Venuti, già arrestato, ha patteggiato una pena a due anni e mezzo per corruzione nell’inchiesta sul Mose, sua moglie Alessandra Farina, i commercialisti, Guido e Christian Penso e due broker svizzeri, Bruno De Boccard e Filippo San Martino. Disponibilità illecite riconducibili a Galan che comprendono anche un appartamento a Padova e uno a Sassari, autovetture e un conto presso la filiale di Zagabria della Veneto Banka, intestato alla moglie del commercialista Venuti “importo di un milione e mezzo, di cui si perdono le tracce nel 2015, successivamente all’arresto di Venuti – scrive il Gip nell’ordinanza – ma di fatto riconducibile a Galan come si evince dalla conversazione intercettata fra i coniugi Venuti”. Soldi che passavano anche dalla Svizzera dove i conti erano intestati a società di Panama e delle Bahamas, gestite dai due broker.

E proprio durante la perquisizione nel loro studio, gli investigatori hanno rinvenuto una lista di imprenditori veneti che per reinvestire ingenti somme provenienti, presumibilmente, dall’evasione, utilizzavano gli stessi canali per un totale di 250 milioni di euro, non più recuperabili in quanto risalenti ai primi anni 2000, in parte rientrati grazie alla legge sullo scudo fiscale e voluntary disclosure. Fra questi spicca il nome della storica azienda di valigie, Giovanni Roncato per l’investimento “censito nel 2009 di 13.589.919 euro a mezzo della società panamense ALBA ASSETS INC”.

La figlia del patron Alessandra dice di cadere dalle nuvole, di conoscere Galan “ma non i due broker”. Mentre i commercialisti Paolo e Christian Penso, e Venuti, sono accusati anche di aver costituito “una serie di sofisticati strumenti economico-finanziari all’estero per impedire l’identificazione dell’origine delittuosa delle somme trasferite” dall’imprenditore Damiano Pipinato della “Calzature Pipinato Spa”.

di Sandra Amurri da Il Fatto Quotidiano