Di mostre, intese come rassegne d’arte, nello specifico di pittura, si può sempre dire quel che passa per la testa, perché l’osservatore, più o meno attento, si forma un suo giudizio, e quindi ha un suo parere in merito a quello che ha guardato durante la visita, appunto, alla mostra. Mostra che significa esporre, far vedere una serie di oggetti. Nel caso specifico mostrare opere d’arte. Mostrare, quindi un termine che porta il visitatore a guardare. Che però non significa sempre si accompagni alla capacità di vedere, ma questa è un’altra faccenda. Vi sono mostre di tutte le dimensioni, dei più diversi caratteri e genere. Ospitate in spazi idonei, di prestigio, oppure improvvisati e magari non adatti. Un determinato spazio (faccio fatica ad accettare il termine usato spesso a sproposito cioè “contenitore”) importante e prestigioso si può prestare a un certo genere di mostre e non ad altre. Vengo al dunque. A Vicenza abbiamo due spazi all’interno di due straordinari edifici tutti e due opera di Andrea Palladio: la Basilica Palladiana e Palazzo Chiericati. Non per questo si può dire che ambedue siano adatti allo stesso genere di esposizioni. Il grande spazio offerto dalla Basilica Palladiana, ovverosia il grande salone con copertura a carena di nave, con la sua superficie di 1240 mq circa, si presta a ospitare grandi mostre, per numero di opere e per allestimento. Tutto questo è indipendente dal carattere specifico della rassegna. La mostra può essere frutto di una grande intuizione e mettere quindi in moto tutto un operare che poggia sulla ricerca di opere che rispondano alla intuizione avuta dall’organizzatore. Quindi alla campagna pubblicitaria che precede e accompagna dalla inaugurazione fino alla conclusione costantemente la rassegna stessa. Di solito questo genere di mostre, che personalmente preferisco definirle eventi, non poggiano su una ricerca scientifica ma semplicemente sulla intuizione, anche straordinaria a volte, di una personalità che ne diventa il curatore/imprenditore, o di un gruppo con analoghe caratteristiche che la gestisce. Il che non significa affatto che la Basilica Palladiana non possa ospitare anche mostre di altra natura. Tutt’altro. E’ avvenuto per il passato e spero che avvenga ancora in futuro. Poi vi sono spazi adatti ad un altro genere di rassegne. Il Chiericati offre uno spazio adatto a mostre che non nascono da una intuizione ma da un insieme di studi, di scelte e di obbiettivi. Cito, per spiegarmi più chiaramente un breve brandello tratti dalla pagina di un libro che consiglierei di leggere . Esso recita “La mostra deve essere concepita come un mezzo per l’avanzamento della ricerca, e non come un fine in sé. In altre parole non si deve prima decidere di fare una mostra su un certo argomento per poi mettersi a studiarlo, ma deve accadere esattamente il contrario. Una mostra scientifica ha senso solo se è progettata e guidata da coloro che da anni, e con profitto, si occupano dell’argomento.”. Queste poche righe poste tra virgolette, sono solo l’inizio di un decalogo, che ritengo assai interessante e che è alla base della costruzione di una rassegna che abbia l’obbiettivo di partecipare alla crescita culturale della società. Per la piena informazione il libro (Contro le mostre) è opera di due signori, Tomaso Montanari, insegnante di Storia dell’Arte moderna alla “Federico II°” di Napoli e collaboratore de “la Repubblica”, e Vincenzo Trione che insegna Arte e media e Storia dell’arte contemporanea alla Università IULM di Milano dove è preside della Facoltà di Arti. Ritengo che questa sia stata la linea che i curatori, almeno in parte, hanno seguito per la mostra presente ora a Palazzo Chiericati : “Il Trionfo del colore. Da Tiepolo a Canaletto e Guardi“. Ho letto (Il Giornale di Vicenza) che qualcuno ha dichiarato che loro, presumo il riferimento fosse alla passata amministrazione, hanno lasciato una Ferrari ma che questa ha bisogno di un pilota adeguato. Perfettamente vero, per una Ferrari. Probabilmente altrettanto vero per un eventuale “evento” che punti essenzialmente al business. Cosa del tutto legittima, ma allora si cammina su sentieri diversi. Una è una operazione che con l’utilizzo dell’arte e del suo fascino viene indirizzata al turismo di massa e quindi a un realizzo concreto formato almeno da due obbiettivi: la giusta soddisfazione della amministrazione ospitante l’evento e l’altrettanta soddisfazione della parte dell’imprenditore al quale è stato commissionato. Una diversa operazione è quella relativa a una mostra scientificamente prodotta che abbia inoltre un forte rapporto con il territorio e che si ponga, prima di ogni altra cosa, l’obbiettivo, duplice anch’esso, di privilegiare lo studio e la ricerca per collaborare alla elevazione della società. In questo caso il rapporto con il territorio è un elemento molto importante e per quanto possibile va sempre ricercato. Un esempio: a Macerata in questi mesi è presente una mostra di notevole interesse culturale dedicata a Lorenzo Lotto, un grande artista veneziano ma che ha operato molto nelle Marche. Una mostra ospitata a Palazzo Buonaccorsi dove vengono esposte opera provenienti da vari paesi europei ma nate in terra marchigiana. Una mostra che si estende inoltre nel territorio, in vari luoghi, dove appunto sono da sempre presenti le sue opere, ad esempio Ancona, Recanati, Urbino, Loreto con la Santa Casa di Loreto e ora penso immediatamente a Tiepolo e alla Villa ai Nani. Due mostre definibili “diffuse”. Che hanno molto in comune e che indipendentemente dall’afflusso di masse oppure no, rimangono due mostre notevoli che, presumo, andranno oltre la cronaca e la pubblicità. Dunque vi sono due visioni e percorsi diversi nella costruzione ed esposizione di opere d’arte, che possono anche alternarsi ma che non possono essere messe a confronto. Farlo rappresenta una sconfitta del buon senso e, se fatto strumentalmente come sembra accadere a Vicenza in questi giorni, dimostra anche che, oltre alla assenza di conoscenza, vengono a mancare anche dei buoni e concreti argomenti.
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