Il problema delle grandi “mostre evento” non è la “mostra” in sé, ma quello che rimane nella mente delle persone che vivono nel territorio dove l’iniziativa, una o più di una, come è il caso di Vicenza, si è svolta.
La folla di persone che invade la città è vissuta dagli abitanti che ne vengono impressionati come una benefica presenza sul piano economico anche se non sempre è così, ma così solo appare.
Specie ai commercianti e in primis ai gestori di bar, ristoranti, hotel o altre residenze che vedono aumentare durante le mostre le loro entrate e ai committenti dell’amministrazione comunale (o di altra istituzione) che si sentono, senza esserlo in verità, protagonisti dell’accadimento, ma sperano che tutto ciò si trasformi in applauso, gradimenti e, perché no, in consenso.
Ricordo un commento fattomi da un titolare di un negozio storico (collocato in Piazza dei Signori, con una attività che non poteva, per sua natura, contare su nuove masse di clienti) che mi è parso il migliore di quanti ascoltati in precedenza. Mi disse che era bello tirar su, al mattino, la saracinesca e vedere che la piazza, notoriamente poco frequentata, brulicava di persone venute anche da lontano per una delle mostre.
Per un motivo o per un altro, tutti legittimi, si fa strada l’opinione che una pubblica amministrazione, al di là dei costi e delle rese economiche, anche queste tutte da verificare e, perché no, da pubblicizzare, ha il compito di insistere in questo genere di attività ricreativa/culturale.
Le mostre/evento, per quanto successo di pubblico abbiano, non sono, però, le sole possibili e non generano, il più delle volte, quell’indotto sia economico sia culturale, che si ritiene connaturato alle stesse. O meglio che si esalta come obbiettivo raggiunto da una oculata e intelligente scelta amministrativa.
Questo è un modo di costruire una iniziativa che poggia su alcuni elementi. Il primo è individuare un professionista/imprenditore, capace di attrarre l’interesse delle masse e in grado di offrire un prodotto soddisfacente.
Gli si affida, con una convenzione, l’incarico di mettere in piedi la mostra, indifferentemente dai suoi contenuti. Cioè senza dare alcuna indicazione in merito. Faccia tutto l’affidatario.
Si mette a disposizione uno spazio, possibilmente prestigioso e, rimanendo a Vicenza, la Basilica Palladiana è un gioiello scintillante. Poi in qualche misura si dividono le spese. Molto meno si dividono le entrate. L’interesse dell’imprenditore, giustamente, è di realizzare profitto. Quello della amministrazione, come accennavo, sta nel ricavarne sopratutto consenso.
Non mi trovo molto d’accordo con questa impostazione, piuttosto diffusa e non mi soffermo a spiegarne, in questo momento, i molteplici motivi.
Dico che esiste un altro modo di organizzare e promuovere mostre che ottemperino in parte anche alla ricerca di partecipazione di un pubblico che non sia esclusivamente, o quasi, quello del “mordi e fuggi”, ma che sia attratto dalla rassegna perché poggiante su un impianto scientifico che consenta di essere stimolatore di conoscenza e approfondimento.
Nulla vieta che dopo di ciò, definito l’impianto scientifico-culturale della iniziativa, questa sia affidata per la realizzazione a qualche serio professionista del marketing.
Un altro elemento è dato dal fatto che una buona rassegna d’arte sia legata, o per la presenza degli autori o per il racconto della stessa oppure per il messaggio culturale che il comitato scientifico intende proporre, al territorio e/o a un particolare momento socio-culturale.
Mi soffermo per ora sulla prima delle rassegne d’arte proposta dalla Amministrazione Rucco con la collaborazione di altre Istituzioni. Quella dedicata a “Una donna nuova – Ubaldo Oppi nell’arte italiana”.
Oppi non è nato a Vicenza, ma a Vicenza ha concluso la sua esistenza terrena. Ha vissuto nella nostra città, ha sentito qui fortemente il messaggio spirituale, ha creato opere importanti e non poche di queste si trovano da sempre in Chiericati.
Collegarlo a Casorati, Sironi e Martini, piuttosto che a Giò Ponti, è una felice scelta della curatrice Stefania Portinari che, in questo modo colloca giustamente e doverosamente Oppi all’interno di uno dei movimenti culturali e artistici più importanti del secolo scorso.
Ottempera così ad un altro elemento fondamentale che sta alla base di una rassegna autenticamente d’arte: proprio con Giò Ponti, ma anche con Martini, coniuga un grande momento pittorico con la sensibilità e manualità del fare e del progettare.
In sintesi una autentica rassegna artistica si collega con una base scientifica, un riferimento al territorio in una visione che leghi assieme un messaggio e una operatività reale.
Quando leggo che il segretario del PD cittadino, Federico Formisano, che non è uno sprovveduto, dichiara (Giornale di Vicenza) “Le scelte appaiono prive di attrazione”, mi chiedo se ha parlato l’uomo colto o l’abile politico di parte.
I suoi altri commenti non sono, loro, per nulla attraenti anche se comprensibili sotto il profilo di una quasi obbligata manifestazione di dissenso dovuta proprio alla attuale condizione di opposizione alla amministrazione Rucco. Questo appartiene al gioco delle parti. E tale rimane: un gioco strettamente politico. Nulla a che fare con la cultura e l’arte.