Profumo è stato presidente dal 2012 al luglio 2015. Viola amministratore delegato dal 2012 a settembre 2016. Il 15 ottobre sono stati condannati in primo grado a 6 anni per aggiotaggio e false comunicazioni sociali nel processo sulla contabilizzazione dei derivati del Montepaschi fatti dalle precedenti gestioni. Leonardo-Finmeccanica ha fatto sapere che Profumo, riconfermato ad aprile in quota Pd (parrocchia: Paolo Gentiloni), non è obbligato a dimettersi. Informalmente nessuno del governo glielo ha chiesto, nemmeno l’azionista del colosso della difesa, il ministero dell’Economia.
Il Tesoro però è anche azionista di Mps, di cui controlla il 68% del capitale dopo averlo nazionalizzato nel 2017. Il cda di giovedì avrebbe dato mandato all’amministratore delegato Guido Bastianini di valutare, alla luce delle motivazioni della sentenza (che usciranno, salvo ritardi, prima di Natale), l’eventualità di un’azione di responsabilità ai danni di Profumo e Viola. In pochi dubitano che questo avverrà. In passato il Tesoro l’ha sempre bloccata, ma con la condanna cambia tutto: i consiglieri del Montepaschi rischiano di doverne rispondere a loro volta in caso di voto contrario. L’azione di responsabilità dovrà poi passare al voto dell’assemblea dei soci, dove il Tesoro dovrebbe sconfessare la decisione del cda che ha espresso alla guida della banca. Anche questo è improbabile che accada. Di sicuro, la guerra per il vertice di Leonardo è già partita.
La condanna dell’ex manager aggrava la situazione di una banca già in profonda crisi, che ha sulle spalle cause civili per quasi 10 miliardi, in buona parte per gli aumenti di capitale del periodo 2012-2015 andati in fumo. Di questi, circa 6 miliardi sono classificati dalla banca a rischio probabile di soccombenza e per questo ha accantonato a copertura poco meno di un miliardo. Giovedì il cda ha valutato la situazione e deciso di alzare gli accantonamenti, senza rendere noto di quanto (la cifra sarebbe di 400 milioni), cosa che avrà un impatto negativo sui conti del terzo trimestre che dovrebbero essere approvati dal cda del prossimo 5 novembre.
Nei giorni scorsi i vertici della banca e quelli del Tesoro, compreso il ministro Roberto Gualtieri, hanno discusso l’eventualità di un aumento di capitale da 1,5-2,5 miliardi per rimpinguare il patrimonio della banca: per dare l’idea della situazione è più di quanto Mps capitalizzi in Borsa. Già solo per liberarsi di 8 miliardi di crediti deteriorati il Monte dovrebbe emettere obbligazioni per 700 milioni a tassi stellari che rischiano di dissanguare l’istituto. Il Tesoro vuole ricapitalizzare la banca per poi liberarsene. Alle porte c’è solo Unicredit, ma l’ad Jean Pierre Mustier è disponibile solo se lo Stato gli dà anche un cospicua dote pubblica. Un negoziato reso grottesco dalla decisione di designare alla presidenza l’ex ministro Pier Carlo Padoan, l’uomo che ha nazionalizzato Mps . I 5Stelle sono contrari e promettono barricate. Ieri fonti finanziarie riportate dall’Ansa riferivano di un’offerta a Unicredit comprensiva, oltre alla ricapitalizzazione, anche di 6mila esuberi in Mps, che peraltro porta in dote 3 miliardi di crediti fiscali extra-bilancio. Il ministero ha smentito l’offerta, ma con la formula “fonti del Tesoro” che alimenta più di un sospetto.