![Morti sul lavoro, basta! Morti sul lavoro, basta!](https://www.vipiu.it/wp-content/uploads/2020/03/2020-03-08_5e6520c90faef_62a9ffc6c507a5d81b68544286ac4798_XL-696x555.jpg)
CGIL-CISL-UIL hanno indetto il 3 marzo uno sciopero di tutte le lavoratrici e i lavoratori della provincia di Vicenza per il 10 marzo. “Basta morti sul lavoro!” è il titolo del volantino che accompagna la decisione. Bene, finalmente. Era tempo che lo chiedevamo, noi comunisti, uno sciopero generale.
![Il volantino Cgil, Cisl e Uil per lo sciopero contro le morti sul lavoro](https://www.vipiu.it/wp-content/uploads/2020/03/Schermata-2020-03-08-alle-18.21.55-1024x555.png)
Il problema, però, nasce quando si legge il testo del volantino con le richieste e la modalità dello sciopero. Dopo il doveroso cordoglio alla famiglia dell’ultima vittima, si proclama un’ora di sciopero a fine turno che, per chi lavora nei servizi essenziali, diventa l’invito a un minuto di silenzio in concomitanza con l’inizio dei funerali del lavoratore di Lonigo deceduto nel veronese qualche giorno fa.
Uno sciopero simbolico e nulla più. Sembra quasi un mettersi a posto la coscienza con una mitezza inspiegabile di fronte al continuo massacro di lavoratori nei luoghi di lavoro (quasi 100 sono i morti sul lavoro da inizio anno e oltre 700 nel 2019). E sono anche le richieste per contrastare la tragedia che lasciano perplessi. In effetti non sono rivendicazioni ma, come spiegato nel volantino, “misure per sensibilizzare imprese, istituzioni e cittadini”:
- Necessità di investimenti nei luoghi di lavoro
- Bisogno di maggiore formazione delle lavoratrici e dei lavoratori
- Urgenza di maggiori controlli sul rispetto delle normative
- Urgenza di potenziare gli SPISAL per aumentare l’attività di prevenzione
- Azioni per una cultura della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro
- Fare formazione agli studenti in sicurezza e salute nei luoghi di lavoro
Ma si crede veramente che possano bastare? Che non si possano (e si debbano) individuare responsabilità e colpe in questa situazione di profonda insicurezza e precarietà nella quale si lavora?
Sembra che si sia fatta propria la frase “siamo tutti nella stessa barca” e che, in definitiva, con una migliore formazione dei lavoratori si possa contenere il numero di infortuni mortali.
Non si mette in discussione il sistema che obbliga lavoratrici e lavoratori a una costante precarietà e alla conseguente accettazione di qualsiasi condizione. Non c’è nessuna critica, neppure velata, della situazione generale del “mondo del lavoro”. Perché tutto si tiene legato: cancellazione di diritti, ricatto continuato di licenziamento, retribuzioni insufficienti, necessità di lavorare più ore e conseguente diminuzione dell’attenzione, aumento di fatica e alienazione. Tutto viene spostato dal necessario diritto al lavoro sicuro all’accettazione del privilegio padronale allo sfruttamento e al profitto a qualsiasi costo. Ma di questo non si parla. E non si apre nessun conflitto. Solo un’azione simbolica di un’ora. Inefficace e ininfluente.
Oggi abbiamo l’emergenza coronavirus che impedisce (forse) forme di lotta più adeguate. Ma perché, allora, non lanciare una campagna di lotta e pianificare azioni che permettano di contare di più e, magari, ottenere qualcosa di più di qualche promessa. Invece di “sensibilizzare” o “chiedere” si inizi a pretendere di lavorare meno, meglio e in sicurezza. E se oggi non si ha la forza di farlo, si operi per costruire questa forza. Senza timori né reverenze, con la dignità e la fermezza che le lavoratrici e i lavoratori hanno dimostrato solo qualche decennio fa, quando la sinistra politica e sindacale era “di classe”.