Una nave gasiera a largo del Veneto per ovviare al razionamento del gas e non far morire le imprese

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Nave Gasiera
Nave Gasiera (foto dal web)

Una nave gasiera: questa la soluzione proposta per non far morire le industrie del mal recato dalla Crisi energetica che attanaglia l’economia odierna nel post esplosione del conflitto in Ucraina.

Che roba è? Si tratta del progetto presentato al Ministero della Transizione ecologica lo scorso 1° settembre dalla società denominata Smart Gas. Consisterebbe nell’armare una nave gasiera, una sorta di enorme cisterna galleggiante, da tenere a largo delle coste venete, almeno a 20 miglia, per non interferire sulle attività portuali.

La nave gasiera, non ancorata, avrebbe una capacità di 144 mila metri cubi di gas e da essa il prezioso elemento, sotto forma liquida (Lnd o gas naturale liquefatto) verrebbe trasportato sulla terra ferma mediante un natante specifico più piccolo.

L’approdo avverrebbe su una banchina del porto di Monfalcone, in Friuli-Venezia Giulia, grazie alla partecipazione di decine di società interessate al progetto, tra cui proprio quella che attualmente detiene la concessione della banchina individuata.

Qui, il gas verrebbe trasbordato in container adatti al trasporto del gas liquido e quindi avviato a un centro di smistamento e infine alle imprese, dove avverrebbe la “rigassificazione” o trasformazione del gas dallo stato liquido a quello gassoso.

La Smart Gas risulta collegata all’imprenditore Alessandro Vescovini, noto per essere presidente di Sbe Varvit, a sua volta società che produce parti meccaniche per molti settori industriali in tutto il mondo.

Il Corriere della Sera lo ha intervistato oggi per riportare alla luce questa proposta che – viene precisato – già tempo fa, nel 2015, era stata avanzata e bocciata. Il capitano di industria spiega che il progetto è nato dall’esigenza, comune a molte imprese, di non rischiare di fermare la produzione e quindi uscire dal mercato a causa del razionamento o addirittura dell’assenza della materia prima energetica.

Era state le valutazioni su quanto avvenuto l’anno prima in Crimea (leggi qui per approfondire) a spingere i promotori verso questa idea. “Avevamo capito – spiega Vescovini a Corriere della Sera – che legarsi a un unico fornitore di gas sarebbe stato pericolosissimo. Per sette anni è andata bene, ma ora siamo davanti a un pericolo grandissimo e abbiamo solo perso tempo. Per questo ci riproviamo e siamo convinti non serva una Valutazione di impatto ambientale (Via) per partire”.

E ancora: “Noi industriali già oggi rigassifichiamo. È un processo semplice con il quale sfruttiamo il calore residuo delle nostre attività. Nel complesso tutto il nostro progetto farà sì che il costo del gas sarà meno della metà degli oneri di sistema e degli oneri di rigassificazione oggi prospettati. Sarebbe un prodotto competitivo già adesso, figuratevi in condizioni più normali di mercato”.

Viene chiarito che il ministero preposto dovrà comunque esprimersi entro tre mesi circa sulla assoggettabilità del progetto alla valutazione ambientale ed è sui tavoli dei ministri per la Transizione ecologica Cingolani e dello Sviluppo economico Giorgetti.

Tra i pro del progetto alcuni aspetti ambientali che inducono ottimismo da parte dei promotori, come il fatto che il gas naturale liquefatto (Lng) non sia infiammabile e tossico. Se il ministero dovesse dare il via libera servirebbero poi un anno e mezzo per realizzarlo con un investimento privati attorno ai 220 milioni di euro.

Per questo inverno quasi alle porte le imprese devono comunque pensare a un’altra soluzione.