Tarchiati, possenti, con un cranio in media più voluminoso del 10% rispetto a quello dei sapiens, un prognatismo piuttosto accentuato e arcate sopraccigliari sporgenti: apparivano così gli ominidi che abitavano i nostri territori nel Paleolitico medio e che si sarebbero estinti – anche se le cose non stanno proprio così – circa 40mila anni fa.
L’uomo di Neanderthal ha convissuto per 5mila anni con l’Homo sapiens e, secondo gli studiosi, è scomparso in modo misterioso e in un tempo, tutto sommato, piuttosto breve: parliamo di una specie prettamente carnivora, che praticava la raccolta e la caccia, abitava grotte e accampamenti all’aperto e conosceva il fuoco, dedicandosi anche ad alcuni rituali di sepoltura dei morti. Le teorie, nel tempo, si sono succedute ed accavallate. Qualche anno fa, esaminando la concomitanza temporale, una ricerca ipotizzò che un ruolo decisivo nella faccenda potrebbe averlo avuto la potentissima eruzione dei Campi Flegrei che, all’epoca, sconvolse morfologia, geografia e clima del territorio.
Ma quello che si è scoperto recentemente è ancora più interessante: i Neanderthal, infatti, sebbene non esistano più come specie “pura”, si sono a lungo incrociati con i sapiens, tanto che molti di noi portano ancora piccole percentuali di materiale genetico neandertaliano nel DNA. Un’eredità su cui c’è ancora tanto da capire.
La Riviera di Ulisse sta giocando un ruolo fondamentale in questo senso: tra i tantissimi ritrovamenti rinvenuti a livello europeo (il nome della specie deriva dalla valle di Neander, in Germania, dove nel 1856 vennero ritrovati i primi resti), ce n’è uno che rappresenta un unicum a livello storico. Quello della Grotta Guattari di San Felice Circeo.
Ci troviamo su quel promontorio che si sporge sul Mar Tirreno e chiude il Golfo di Terracina, un lembo di terra dal quale parte idealmente, anche se non burocraticamente, la riviera che si spinge, poi, fino a Gaeta. A un centinaio di metri dalla costa, qui, si apre un antro preistorico dove, nel 1939, venne ritrovato – per puro caso, durante alcuni lavori – un cranio Neanderthal ottimamente conservato a cui, nel tempo, si aggiunsero altre ossa e testimonianze.
Proprio qualche mese fa, infatti, è stato reso noto che quella grotta custodisce segreti antichissimi: oltre ai reperti fossili appartenenti a ben undici Neanderthal (non tutti fra di loro contemporanei), gli scavi condotti negli ultimi anni hanno restituito ossa di animali tra cui abbondanti resti di iene (che si crede abbiano attaccato la popolazione neandertaliana, ma è un’ipotesi ancora al vaglio degli studiosi) e altri mammiferi come l’uro, il grande bovino estinto nel Seicento. Una vera e propria banca dati del passato che permette di capire le abitudini degli ominidi e della fauna di quel tempo così lontano e di fare stime molto precise sull’intero contesto storico.
San Felice Circeo, quindi, si è rivelato un polo importantissimo per la conoscenza dell’Homo neanderthalensis e dell’evoluzione umana, perché la teoria più probabile, al momento, è che ospitasse un vero e proprio focolare di Neanderthal strutturato.
Un risultato incredibile reso possibile dalle instancabili ricerche, iniziate a fine 2019, della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Frosinone e Latina in collaborazione con l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata.