Ieri, giovedì 20 settembre, c’è stata l’approvazione definitiva in senato del Milleproroghe, che porta con sé l’emendamento alla legge 205 “in favore di risparmiatori che hanno subito un danno ingiusto, riconosciuto con sentenza del giudice o con pronuncia degli arbitri in ragione della violazione degli obblighi di – informazione, – diligenza, – correttezza e trasparenza“), che ne conferma l’impianto pur rinviando i termini per il decreto attuativo al 31 gennaio 2019, privilegiando nel 2018 solo un centinaio di risparmiatori (avevamo scritto 103, in effetti sono solo 83 perché Banca Nuova e Banca Apulia non rientrano nella 205 in quanto non in Lca).
Gli 83 che dovrebbero essere liquidati nel 2018 sono quelli già in possesso dell’Acf che riceveranno, però, solo il 30% di quanto fissato nel lodo e fino a un tetto massimo di 100.000 che, dicono le associazioni Unite per il fondo, si spera non siano precedenti limitativi per il futuro
Se viene da farsi una domanda sul perché almeno il M5S abbia ritardato e ancora non ha fatto firmare il decreto attuativo della 205, mentre non abbia fatto altrettanto con quello del trasferimento degli NPL alla SGA, che in questo modo ha acquisito in carico 18 miliardi di crediti deteriorati dalle due ex Popolari in liquidazione innescando una bomba sotto le case e i capannoni di decine di migliaia di risparmiatori privati e di piccole aziende anche artigianali, forse una risposta la dà la ricerca ossessiva di miliardi per far partire con un minimo di attuazione altre promesse elettorali della Lega (la flat tax) e del Movimento 5 Stelle (reddito di cittadinanza), tutte promesse, per carità, da rispettare se quello è stato il patto con gli elettori interessati che sono milioni, ma sempre che non si cancelli, solo perché i destinatari fanno parte di una platea di “minoranza”, 340.000 soci vittime di Banca Popolare di Vicenza, di Veneto Banca e della 4 banche risolte, quest’altro impegno, il n. 23, del “contratto di governo“: “… Per far fronte al risarcimento dei risparmiatori “espropriati” si prevede anche l’utilizzo effettivo di risorse, come da legge vigente, provenienti da assicurazione e polizze dormienti. La platea dei risparmiatori che hanno diritto a un risarcimento, anche parziale, deve essere allargata anche ai piccoli azionisti delle banche oggetto di risoluzione“._
La legge vigente è la 205 e i fondi dormienti sono ad oggi 1.574.000.000 di euro solo per i conti correnti dormienti oltre agli importi ancora ignoti delle polizze dormienti e degli altri strumenti finanziari anch’essi dormienti di cui alla legge 266 del 23 dicembre 2005 a cui la 205 si richiama per attingere le sue risorse…
Se il signor Bonaventura dei miei tempi, scrivevamo il 15 settembre (“Meno di 1 mln di ? a solo 103 vittime con Acf di BPVi, Veneto Banca…: questo fa nel 2018 il “governo del cambiamento”. I soci dicano intanto grazie a don Torta, Arman e Ugone che hanno sabotato fondo da 25 mln iniziali”) si inchinava ringraziando per un milione (di lire) di ricompensa per le sue belle azioni, chi dei 340.000, che avesse diritto a un rimborso dignitoso per le pessime azioni che gli hanno rifilato, potrebbe inchinarsi a questa situazione senza apparire come un rassegnato a chinarsi?
Per avere un quadro più completo della lotta che si sta scatenando per rispettare, anche se in parte, (solo) gli impegni, mediaticamente più seguiti (gli unici…) e elettoralmente più paganti (sigh!), per gli embrioni della flat tax e del reddito di cittadinanza vi proponiamo i passaggi finali di un articolo di Carlo Di Foggia su Il Fatto Quotidiano del 20 settembre con titolo “Deficit, nomine, banche lo scontro col ministro che non fa toccare palla” e sommario “Rapporto difficile – non solo conti pubblici, dai vertici del tesoro alle deleghe mai date: la lite è totale” e che fa capire anche che, quando parlano di soci delle banche e di nuove promesse fantasmagoriche, i sottosegretari al MEF senza deleghe Massimo Bitonci e Alessio Villarosa emettano solo rumori di fondo…
Il Fatto Quotidinao, infatti, così scrive: “A tre mesi dall’insediamento, Tria è l’unico che non ha ancora assegnato le deleghe ai suoi viceministri (oltre alla Castelli, Massimo Garavaglia della Lega) e ai sottosegretari, Villarosa (M5S) e Bitonci (Lega), con il risultato paradossale che ognuno segue temi diversi senza averne titolarità. In questo modo può bloccarli in qualsiasi momento. A nulla sono servite le pressioni di Di Maio…”
E poi aggiunge:
“Appena insediato, Tria ha lasciato tutti di stucco. Ha confermato la prima linea ereditata dal precedessore Pier Carlo Padoan, a partire dal capo di gabinetto Roberto Garofoli, così come i vertici del Dipartimento finanze. Per settimane ha battagliato con i 5Stelle sul nuovo direttore generale del Tesoro, dove ha promosso Alessandro Rivera, dirigente che per conto di Padoan ha gestito le disastrose trattative con l’Ue sulle crisi bancarie, stoppando i 5stelle che spingevano per Antonio Guglielmi di Mediobanca. Stessa lite sui vertici di Cassa Depositi e Prestiti, dove ha dovuto cedere ai pentastellati nominando ad Fabrizio Palermo (Tria voleva Dario Scannapieco). Il massimo dello scontro si è raggiunto con la decisione, presa in gran segreto, con cui Tria ha nominato il rappresentante al Fondo monetario internazionale per l’Italia, l’Albania, la Grecia e San Marino (la poltrona che fu di Carlo Cottarelli). Il ministro ha scelto di sostituire Alessandro Leipold con Domenico Fanizza, già rappresentante per l’Italia nell’African development bank senza informare gli alleati. I 5Stelle lo sono venuti a sapere dopo le proteste di uno dei Paesi rappresentati da Panizza per non essere stato consultato. Poi ci sono le note, per così dire, di colore. Ad aprile Tria ha nominato consulente per gli Affari pubblici Claudia Bugno, ex coordinatrice generale per la candidatura di Roma alle olimpiadi del 2024, indicata da Matteo Renzi ed ex membro del cda di Etruria prima del crac della banca aretina cara alla Boschi.
Il risultato di questa situazione è un déjà vu di questi anni, con il ministro dell’Economia “tecnico” a tracciare il solco del rispetto delle regole europee (il Fiscal compact che impone il pareggio di bilancio) e il Quirinale, con la sponda di Bruxelles a difenderlo. Oggi al Tesoro ad avere l’ultima parola sulle norme fiscali sono gli stessi vertici scelti da Padoan, così come sui temi bancari cari. Non è un caso che l’istituzione di una nuova commissione d’inchiesta parlamentare sulle banche, dopo quella della scorsa legislatura, ancora non decolli. Il disegno di legge c’è ed è depositato in Senato dai 5Stelle. Doveva essere calendarizzato da settimane, poi i tempi sono slittati (pare si cominci a discuterne a fine mese in commissione Finanze). Un ritardo che si spiega anche con le preoccupazioni di Bankitalia, le cui apprensioni sono assai ascoltate al Tesoro e al Colle. La nuova commissione – su cui Salvini e Di Maio hanno dato l’ok – si dovrà occupare di vicende che spaventano i vigilanti, soprattutto se vorrà far luce sui guai bancari degli ultimi anni e la disastrosa gestione delle trattative sull’unione bancaria che ha portato ad accettare una norma, il bail-in, che scarica i costi delle crisi sugli obbligazionisti, poi bollata da Bankitalia come “rischio sistemico” per l’intero settore.
Ora sul deficit i 5Stelle si giocano l’intera partita. Tria non vuole mollare, forte di un’assicurazione sulla sua vita politica. Di Maio e il resto dei vertici M5S, così come quelli leghisti, hanno chiaro che silurare il ministro dell’Economia, peraltro indicato dal presidente della Bce Mario Draghi come garante dei conti pubblici, alla vigilia della manovra avrebbe contraccolpi troppo pesanti da gestire”.