(Articolo da VicenzaPiù Viva n. 7, sul web per gli abbonati tutti i numeri, ndr).
Nerina Noro è stata una pittrice e poetessa vicentina. Uno dei tanti nomi, che pur avendo contribuito allo sviluppo artistico-culturale della nostra città, viene ad oggi spesso lasciato nel dimenticatoio.
Nerina Noro, figlia del pittore vicentino Francesco Noro emigrato oltralpe nel 1906, nasce in Svizzera nel 1908. Solo in un secondo momento, agli inizi degli anni ’20, la famiglia Noro torna in Italia e si ristabilisce a Vicenza. Qui Nerina inizia la propria educazione artistica sotto la guida del padre pittore e, sempre seguendo le orme del genitore, decide di perfezionarsi all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Proprio a Venezia conosce Arturo Cussigh, anch’egli pittore, con cui si sposa e ha due figli. Questa storia d’amore sarà estremamente burrascosa, fino a risolversi in un divorzio. Della relazione rimane il ritratto di Nerina, eseguito da Arturo nel 1936.
In realtà, quello che ora è un ritratto di lei, in origine era un doppio ritratto in cui era presente anche Arturo. Tuttavia, Nerina lo cancellò in un secondo momento per eliminare ogni traccia del suo ex marito.
L’arte pittorica
Fin da giovane Nerina partecipa a importanti mostre d’arte a livello nazionale (la Bevilacqua La Masa nel 1936, la Quadriennale di Napoli nel 1937 e la Biennale di Venezia nel 1938) e negli anni ’40 inizia ad affermarsi come pittrice. L’occasione si crea quando si affianca al ritratto dal vero e all’autoritratto (evidente in “Donna mascherata” suo personale autoritratto del 1948) abbandonando la rappresentazione paesaggistica a cui l’aveva educata il padre. Questo drastico cambiamento di soggetto può essere visto come l’effetto di un difficile periodo della sua vita privata dovuto alla morte del papà Francesco nel 1947, un periodo durante il quale si butta a capofitto nella sperimentazione artistica e nell’insegnamento presso la scuola media Scamozzi.
Solo all’indomani degli anni ’50, Nerina inizia ad utilizzare un tratto più asciutto (ben visibile in uno dei suoi quadri più famosi “Le tre amiche”) e predilige colori poco brillanti. Dal 1965 in poi, si avvicina all’astrattismo, per arrivare infine, nei dieci anni successivi, all’apice della sua carriera pittorica con la definizione dello spazio soltanto attraverso il colore. la sua produzione pittorica sfugge a classificazioni o riferimenti a determinate scuole e movimenti. Una definizione della sua pittura è stata data da Resy Amaglio, curatore del saggio per la mostra su questa artista svoltasi a Vicenza nel 2005. Secondo lui infatti “Nerina Noro trova il modo più idoneo per svelare ciò che la pittura non dice, attraverso il più antico linguaggio, dove domina il segno, assoluto, che si riappropria così dell’essenzialità di un codice primo della comunicazione”.
Un linguaggio criptico da sciogliere quindi, per arrivare alla profondità del suo significato.
L’arte letteraria
Nerina a partire dagli anni ’80 si appassiona anche all’ arte letteraria. Inizialmente come autrice di racconti, poi in quanto poetessa in lingua italiana e soprattutto dialettale. Questa è sicuramente una scelta controcorrente. Infatti pochissime donne hanno scritto e pubblicato in dialetto, a fronte del numero più elevato di coloro che hanno preferito farlo in lingua. La ragione di questo “sessismo letterario” è stata ben evidenziata da Matteo Vercesi secondo cui il vernacolo può essere percepito “come lingua della sopraffazione, della sottomissione e della rassegnazione al luogo canonico di moglie, di madre o di regina della casa. Scegliere di non scrivere in dialetto, pertanto, potrebbe essere valso agli occhi di una poetessa veneta del secondo Novecento, quale forma di resistenza ed opposizione ad un simile cliché”.
Tra le sue poesie più celebri è da menzionare “Tuti che parla” nella quale la pittrice-poetessa condivide il suo stato di isolamento in una piccola città di provincia come era al tempo Vicenza. Tutti parlano, o meglio, sparlano “de machine, de femene e de schei” (“di macchine, di donne e di soldi”) mentre Nerina si sente estranea a quella superficialità bigotta.
Nei versi successivi della poesia evidenza come lei invece goda “a vardare ‘na foia”, perché rivede in questa uno spunto per un quadro o una poesia. A differenza dei suoi concittadini, Nerina è dotata di una profondità che la eleva ma, al tempo stesso, la rende sola con la sua arte e i suoi pensieri. Tutte le sue raccolte di versi sono state riunite solo in un secondo momento nel 1994 in un unico volume intitolato “Polvare de ala”, curato da Giorgio Faggin ed edito da Neri Pozza.
Nerina Noro, nel corso della sua carriera poliedrica, ha dialogato con i personaggi più rappresentativi della cultura artistica e letteraria vicentina, privilegiando fra tutti quelli più scomodi e singolari, come Goffredo Parise o Neri Pozza. In tutta la sua opera, Vicenza è una presenza ricorrente, sia nei personaggi dipinti sia nei versi delle poesie. La città che
rappresenta non ha niente a che vedere con le immagini da cartolina, fatte di palazzi palladiani e scorci suggestivi. Nerina predilige la città dei quartieri popolari e degradati, abitati da persone semplici che percorrono i bassifondi e frequentano le osterie, cercando di fare una fotografia quanto più veritiera possibile del popolo vicentino. Il giornalista e scrittore Simone Martinello l’ha definita come un’artista incompresa dalla sua stessa città, ma forse, al giorno d’oggi più che mai, sconosciuta.