Nessun dispotismo, fosse anche illuminato! Autodafè di un pentastellato di Vicenza. Nello sfondo l’inimicizia tra Ferrarin e Zaltron

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Non è restato che il raccapriccio, la faccia di una militante contratta in una smorfia di dolore. Nessuno sa niente, non si fanno nemmeno congetture. Da Milano non arriva niente. Le lettere spedite all’indirizzo liste civiche del Movimento 5 Stelle saranno state centinaia, inviate da Vicenza e da tutta la provincia. Persino da fuori provincia: siamo tutti sotto il cielo, tutti a rischio esclusione. Ciò che ormai ogni vicentino sa è che la lista del M5S locale, che doveva concorrere alle amministrative comunali di giugno, non ha avuto la certificazione dallo staff.
Il nome di “Vicenza” non si trova sull’elenco delle città venete che l’hanno ricevuta. E’ possibile che si siano sbagliati, che si siano dimenticati? Questa è un’associazione che non ha alcuna connessione base-vertice, nessuna ufficiale; questa è un’associazione di cui non si conosce bene il vertice. Chi è vissuto per molto tempo in mezzo ai partiti eredi di quello di Gramsci, non riesce a concepire una realtà democratica siffatta: non riesce a capire come si possa dipendere “dall’omphalos” (ombelico), da un ufficio più imperscrutabile del santuario della Pizia, giacché quella almeno rilasciava qualche segno sulle foglie. Questi, lo staff, nome generico quanto quello della commissione di “Indietro tutta”, non parlano, non si sa chi siano né quanti siano, a quali regole ispirino le loro decisioni, e quali siano i canali da cui prendono le informazioni. Ecco, le notizie, chi gliele dà? Chi sono gli oscuri referenti da cui scrutano la realtà politica a 5 stelle, chi sono i… delatori? Sì, delatori! Giacché, a escutere i rappresentanti istituzionali, nessuno pare abbia mosso critiche all’attivismo della città, nessuno ha trovato niente da obiettare alla linearità con cui è stata composta la lista del Movimento 5 Stelle Vicenza, con cui è stato designato il candidato sindaco. Persino loro, i portavoce, non sanno niente e non riescono a darsi una spiegazione.

Eppure, quando qualche anno fa cercai i militanti del Movimento cittadino, ciò che constatai fu l’insolita inimicizia tra due opposte fazioni, difficile da rinvenire anche tra partiti avversari, macché, tra nemici mortali. Uno dei due gruppi mi parve più attivo, e ho frequentato gli incontri, ne ho seguito le attività. Poco a poco mi si schiudeva la realtà del M5S locale, fatto di poche persone che lottavano a volte quotidianamente con la mala gestione della cosa pubblica e l’inerzia politica dei concittadini. Il tentativo, avrebbe detto Nicola Morra, famoso portavoce pentastellato, era di usare le armi di un giornalista d’assalto o di un giudice per le indagini preliminari, anche se ciascuno di noi a volte si sentiva inadeguato al compito. Noi eravamo solo il meetup, l’assemblea che non è il Movimento, ma che lo produce in periodo elettorale, poiché il Movimento sono solo i portavoce. Questa è la dottrina.

Mi accorgo subito che la laicità a 5 stelle, la prassi a cui è votata la sua vita politica, impedisce di parlare di democrazia, se non in modo occasionale e di sostegno agli appuntamenti elettivi. Mi accorgo anche che l’ostilità tra i due gruppi nasce da questioni non politiche (un’animosità che si sarebbe di certo ricomposta dopo la decisione di un voto assembleare), ma deriva da una feroce competizione di due elementi portavoce al consiglio comunale (Daniele Ferrarin e Liliana Zaltron, ndr). La guerra privata tra i due consiglieri aveva composto due formazioni di seguaci altrettanto ostili tra loro senza avere due posizioni politiche avverse e concorrenti. Sembrava che l’interesse civico dei pentastellati di Vicenza si esaurisse nella lotta con l’odiato nemico di cui si narravano le intemperanze e le incapacità. Ma ora è sempre più chiaro: l’origine del conflitto nasceva da un’impossibile autorevolezza che ognuno dei due protagonisti poteva vantare sull’altro, e dai sentimenti che così formulati erano di certo l’anticamera della corruzione.

Per evitare una costante belligeranza i 5 stelle cittadini si sdoppiarono in due meetup, e le ostilità si confinarono nell’unico canale aperto , quello della comunicazione on line. Le chat furono il luogo delle battaglie, dei confronti, delle espulsioni, e la considerazione politica di ogni attivista a volte dipese solo dal grado di animosità partigiana. Ma la guerra stava inibendo la crescita individuale, impedì l’ingresso di nuove energie, accelerò la partenza di quelle vecchie. Ci si era ridotti ad un circolo amicale che si riuniva settimanalmente sui soliti argomenti che non riuscivano a penetrare l’interesse dei cittadini. Finché la scadenza elettorale non costringe i due gruppi a far finta di collaborare. Uno dei due era riuscito a trovare un candidato, un campione della propria causa che appariva nella mediocrità generale il più titolato a rappresentare il Movimento. E in mancanza di un luogo comune dove presentare la propria candidatura, fu scelto un luogo terzo, la tv, dove fu reso noto simultaneamente agli attivisti e agli elettori vicentini che con ogni probabilità il futuro candidato a 5 stelle sarebbe stato l’avvocato Francesco Di Bartolo. L’altro gruppo mancava di campioni esterni blasonati e si accontentò di un’espressione di “corrente”, Marco Di Gioia. Le votazioni che seguirono non ebbero niente di democratico. Si scatenò una guerra sull’identificazione del popolo elettore, guerra che non era destinata a meglio giudicare i candidati, ma ad assicurare la vittoria anticipata ad uno dei gruppi. Alla fine, 39 voti Di Bartolo, 20 Di Gioia, 1 bianca. La bianca era la mia, che consideravo i due candidati espressioni di una fazione e non del Movimento vicentino, nonostante gli inutili proclami all’unità e alla concordia.

Ciò che aveva portato a questo era stata la scadente tenuta ideologica dei 5 stelle della città, incapaci di formulare un pensiero che non fosse di parte, incapaci di scovare le scaturigini delle contraddizioni sociali e ottusamente smaniosi di incolpare di tutto il proprio compagno di cordata. Insomma una storia di soggetti ben più che modesti, che – come spesso accade in politica – aspirano a diventare Napoleone. L’ambizione aveva ucciso l’onestà. Ma che cosa è tutto il M5S se non un grande comitato elettorale? Un’associazione di cittadini che mirano a diventare parlamentari, temperati dalla incombenza capricciosa della Casaleggio? Ora, è vero che non si conoscono le ragioni della esclusione, ma ci sarebbero (e non sono suggerimenti) sufficienti motivi per concordare sulla mancata certificazione.

Nonostante tutto non riesco ad accettare il silenzio, l’assenza di motivazioni esplicite, commentabili. D’altronde parlare di democrazia non è l’argomento preferito nel Movimento, dal vertice alla base. Le risibili e scarse convocazioni alle votazioni on line (che dovrebbero solo assicurare la speditezza delle operazioni) non possono sostituire il dibattito vero dei nuclei territoriali che si rifletterà in seguito nelle sue gerarchie. Le idee non nascono con i click, le idee li precedono. L’inquinamento, l’ingiustizia, la disonestà amministrativa sono argomenti successivi al recupero della democrazia, della centralità del cittadino come soggetto della vita civile, sociale e politica. Il rispetto del territorio, la decisione sulla mobilità e sulle risorse idriche, le misure di sostegno al reddito, derivano dal rispetto dei sistemi di rappresentanza, dalla democrazia diretta, partecipata, o deputata. Perciò la Casaleggio non può decidere di irrogare una sanzione quando non si sa qual è il codice di condotta, quale l’infrazione. Ecco perché si abbisogna immediatamente di una struttura partito, che abbia una precisa organizzazione territoriale, con attivi di sezione comunali, provinciali e regionali, con probiviri e collegio dei sindaci per ognuna di queste realtà, una struttura che tuteli la linea (se ce n’è una), che custodisca le idee e organizzi le strategie, che esprima i suoi portavoce senza dipendere da un sorteggio organizzato da un ufficio di Milano.

Da domani in poi il M5S di Vicenza è azzerato, è cancellata la sua storia, sono dimenticate le sue fatiche e le sue illusioni. Tutti puniti. Punita la cittadinanza che non meritava l’impossibilità di scegliere il suo simbolo. Se nasceranno ancora cittadini consapevoli che vogliano costituirsi in assemblea, dovranno passare per la formazione di un laboratorio che dismetta le ambizioni da passerella elettorale tanto comune tra i 5 stelle. Essi dovranno passare per l’adozione dell’umiltà e del servizio alla collettività, ricordando che la funzione di portavoce non è una conquista, ma dismissione dell’interesse privato, un alto onore che essa concede a chi dimostra la genuina intenzione di essere suo alleato.

Si auspica che da questo progetto, da questo percorso estremo e accidentato, i maggiori responsabili della guerra pentastellata vicentina si tengano alla larga, anche se lasceranno i cittadini orfani dell’esperienza accumulata negli anni della loro rappresentanza.