L’Amico Alberto Leoni mi manda una nota da lui postata su FB che, prima di commentarla, riporto: “Avevo deciso di non dire nulla ma proprio nulla sulle persone che partecipano come candidate alle prossime elezioni. Ma quando ho letto chi è candidato al collegio uninominale senatoriale di Bassano per FI, ovvero l’avvocato Nicolò Ghedini per il Centro Destra non ho potuto trattenere un fremito. Non centra nulla l’appartenenza politica. C’entra il rispetto delle istituzioni, del senso della tua missione, dell’impegno dovuto verso una comunità. Ebbene l’avvocato Ghedini è stato il senatore meno produttivo e più assente in questa legislatura (la sua quarta). Ha partecipato allo 0,7% delle votazioni“.
“Significa – prosegue Alberto – che il Senato non l’ha mai visto. E ora vuol ritornare per la quinta volta al Senato. No, scusate amici di FB che magari appoggiate la sua parte politica, ma proprio qui qualcosa non funzione… Quella di Ghedini la considero una vera umiliazione democratica inaccettabile“._
Ebbene quello che scrive il mio amico Leoni mi riporta alla mente cose di altri tempi che collego con le attuali (la fotografia mostra il Senato a Roma). _Eravamo ai tempi della prima Repubblica mentre oggi siamo nella seconda e forse, così almeno sostengono alcuni opinionisti, addirittura nella terza Repubblica italiana. A dire il vero non mi riesce ancora di comprendere quando esattamente – una data precisa o un specifico avvenimento – si sia usciti dalla prima per entrare nella seconda. Immaginatevi poi quando si sarebbe creata la terza.
Ognuno può inventarsi la data o l’episodio che più gli conviene. Per il passato un cambiamento di regime era chiarissimo. La morte di un re e l’ascesa di un altro monarca. Un colpo di stato. Una rivoluzione oppure una controrivoluzione. Oggi magari si cambia numerazione alla Repubblica andando dal notaio. Oppure lo decide un commentatore politico, la carta stampata o una tv.
Quel che mi preme dire è che è difficile incasellare le varie vicende secondo schemi noti e collaudati. Torno all’inizio per ricordare che, appunto al tempo della prima Repubblica, un segretario di partito decise di dare una strigliata ai parlamentari del suo partito, evidentemente, che praticavano un pochino troppo frequentemente l’assenteismo. Vero che capitava al parlamentare di essere in commissione. Cosa questa verificabile. Oppure in missione. Anche questo facilmente verificabile se la missione era promossa dal Parlamento. Ma anche andare nel proprio collegio (non quello scolastico, ma quello elettorale), è definibile “missione”.
Cosa questa comprensibile ma non sempre giustificabile. Bello, anzi encomiabile curare il proprio potenziale elettorale ma per farlo va ricordato ai signori onorevoli che esiste, per quanto riguarda l’impegno parlamentare, la settimana corta. Anzi cortissima. Quindi per un paio di giorni alla settimana, quella normale, è possibile dedicarsi al proprio paesello.
Questo segretario di partito decise di pubblicare, a periodi fissi, sul giornale, pure questo di partito, le casistiche delle presenze in Parlamento, ovverossia Camera e Senato. Un modo un po’ superficiale per valutare l’impegno dei parlamentari ma, allora, altri metodi non si conoscevano. Inoltre fece sapere che tutti coloro che a fine mandato non avessero raggiunto una certa percentuale, accettabile dal buon senso, di presenze sul “lavoro”, non sarebbero stati ricandidati. E mantenne la promessa.
Apriti cielo. Alcuni, abituali assenteisti, pur muniti di buone ragioni, secondo il loro parere naturalmente ma non secondo quello dei loro elettori, si indignarono e, oltre a ritenerlo un affronto, se la legarono al dito e, avutane l’occasione, fecero le loro vendette.
Passa il tempo e siamo alla seconda, o terza, Repubblica ma l’assenteismo non cessa. Almeno stando a quel che racconta la stampa. Ma i tempi sono cambiati. Oggi con quel marchingegno che appare, agli sprovveduti come me, essere la nuova legge elettorale, le indicazioni delle candidature sono praticamente, partito per partito, salvo qualche eccezione (si usa dire così ogni qual volta che non si sa bene come stanno, al millimetro, le cose), patrimonio di pochi soloni.
Insomma i patròn dei partiti la partita la giocano da soli. Però esiste una Associazione Openpolis che redige una graduatoria relativa all’indice di produttività che è un sistema di valutazione dell’attività dei parlamentari italiani (dal sito di Openpolis). Un sistema non semplice ma che “si basa sull’attività svolta, ossia su quanti atti il parlamentare presenta in un dato periodo di tempo, e di quanto quell’attività sia stata effettivamente produttiva.“. Interessante e, a mio parere, importante.
Ma forse non è importante per altri visto che personalità della politica, senatori e deputati, sono calati nei vari collegi ritenuti “blindati ” oppure in collegi dove bisogna giocarsi l’ultimo voto, indipendentemente dalla valutazione di Openpolis. Insomma cose che ti fan dire “beati gli ultimi che saranno i primi“, in Parlamento naturalmente.
Per la qual cosa, tanto per chiarire il pensiero, un paio di esemplificazioni: un signore che ha lavorato come uno stakanovista (termine vecchio, retaggio del regime sovietico che stava a indicare un super eroe del lavoro) si ritrova a dover correre una maratona e a un altro signore, che ha trascorso il tempo della legislatura in altre faccende affaccendato, gli viene scodellata una poltrona su un gigantesco piatto d’argento.
Mi permetto di riportare ancora un paio di righe dal sito di Openpolis, che recitano “Il National Democratic Institute (NDI) ha riconosciuto l’indice di produttività come modello internazionale per l’analisi e la valutazione dei lavori parlamentari“. Probabilmente ha ragione ancora una volta la saggezza dei proverbi e soprattutto questo, antichissimo, che ci ricorda che “nessuno è profeta in patria“. In altre parole una frase che è pure presente anche nei Quattro Vangeli._