L’avevamo capito: la rivoluzione non la si può fare in società col nemico. Proprio come da più parti si preannuncia sarcasticamente, alla fine “cederanno con fermezza”. Il vicepremier Luigi Di Maio si illude di trovare formule retoriche per far digerire la sconfitta: “Tratteremo senza tradire gli italiani”. Purtroppo essere costretti a trattare significa riconoscere il potere del nemico e la sua capacità di far perdere la guerra. La dottrina a 5 stelle non deve solo digerire provvedimenti di completo stampo leghista e reazionario, come il decreto sicurezza, ma è obbligata a emanare i suoi provvedimenti annacquati, epurati, limati, stravolti dall’opportunità di governo e dalla volontà del socio in affari.
Ma Matteo Salvini gli fa compagnia. Le voci che quota 100, forse tanto più cara ai leghisti che al Movimento, sia una misura transitoria – un regalino triennale ai lavoratori del nord che poi dovranno accettare quota 41 – sono sempre più insistenti. Delle tre ideuzze leghiste, flat tax, abolizione della Fornero e stop ai migranti, solo quest’ultima è sembrata conseguire qualche successo. Ma non per molto. La battaglia che si sta prefigurando nel governo e in parlamento, con le dichiarazione ancipiti di Conte sul global compact e quelle esplicite di Fico, metteranno a dura prova l’asse Salvini-Di Maio.
L’arma dello spread, ovvero del capitale che governa i popoli col debito, comincia a trafiggere la coscienza dei sovranisti. Il “dialogo necessario” con una classe politica europea di energumeni della finanza, sta riducendo il governo del cambiamento a un governicchio nazional popolare con scarse speranze di restare in piedi. Il più famoso e più rivoluzionario provvedimento, il reddito di cittadinanza, ormai reca con sé solo il nome altisonante, senza soddisfare nessuna delle speranze alimentate. E, prima di parlarne, è bene subito dire che la sua filosofia non è quella di procedere ad una redistribuzione della ricchezza, ma di concedere a qualche estremo sfortunato un leggero e temporaneo aiuto sotto il controllo dello Stato.
Il reddito, che si prefigge di non lasciare nessun cittadino sotto il limite minimo di reddito di 780 euro, quale dall’Istat è stabilito il limite della povertà assoluta, non viene erogato come nei paesi del nord Europa al di là della valutazione della proprietà privata del richiedente, cioè delle sue intere sostanze. L’Isee, l’indicatore della situazione economica familiare, sarà la carta del governo per far finta di dare la possibilità a chiunque di cercarsi un lavoro e nel frattempo di sopravvivere. Perciò, i requisiti richiesti, oltre a quelli dell’occupazione o della sottoccupazione (cioè con salario inferiore a euro 780) sarà un Isee che non arrivi all’ammontare annuo del reddito di cittadinanza, cioè 780×12 = 9.360 euro. A questo si aggiunge anche il calcolo di beni mobili obbligatoriamente inferiore a 10mila euro, nonché una seconda casa di proprietà che, oltre a quella di residenza, non deve superare 30mila euro di valore.
Sono questi limiti cogenti che ridurranno di molto la platea dei beneficiari. E se a questo si somma il fatto, che a tutti coloro che rientrano nei parametri di ricchezza privata richiesta non sarà elargita l’intera somma, ma avranno sottratti: i salari già percepiti, “l’affitto imputato” (cioè l’affitto non pagato per abitare in casa di proprietà, ± 380 euro) e gli utili di famiglia, l’effettiva erogazione del reddito di cittadinanza si risolve in qualche centinaia di euro per pochi soggetti veramente sfortunati. E i soldi non saranno accreditati in banca, no. Saranno caricati su una prepagata riconoscibile da chiunque, che dichiarerà a chiunque lo stato di grave necessità. Una misura indegna, che sebbene concepita per tenere lontani da acquisti voluttuari e immorali, sottopone i destinatari ad un bieco e infame paternalismo. Poi ci sono tutti gli obblighi e le sanzioni.
Con una platea beneficiaria certamente ridotta – e sono curioso di sapere quant’è grande e se corrisponde davvero ai bisognosi – l’espansione della manovra di cui tanto parla il governo sarà misera, paragonabile a quella degli 80 euro se non fosse per l’obbligo di spesa che contiene il reddito di cittadinanza. E con una manovra misera, ci saranno effetti miseri e incerti; gioiranno i padroni, esulteranno i burocrati di Bruxelles e le opposizioni italiane.