Recensione di Martina Moccia, studentessa del Liceo Linguistico “Da Vinci” di Bisceglie (BT). Noi però gli abbiamo fatto le strade. Le colonie italiane tra bugie, razzismi e amnesie[1] è stato pubblicato con la casa editrice torinese Bollati Boringhieri il 7 ottobre 2021 da Francesco Filippi, uno storico della mentalità, autore e formatore italiano, presidente dell’Associazione di Promozione Sociale Deina, che organizza viaggi della memoria e percorsi formativi in tutta Italia in collaborazione con scuole, Istituti storici e Università.
Nel 2019 l’autore ha pubblicato il suo primo lavoro, Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo[2], il quale ottenne ottime recensioni.
Il recente Noi però gli abbiamo fatto le strade è un saggio in cui lo storico italiano ripercorre la storia coloniale italiana, concentrandosi principalmente sulle conseguenze che essa ha avuto nella coscienza degli italiani.
Nello specifico, il libro racconta tutto il periodo della presenza italiana nel Corno d’Africa, che inizia con la conquista nel 1882 della baia di Assab in Eritrea e termina il 1° luglio del 1960 con l’ultimo ammaina-bandiera di Mogadiscio, capitale della Somalia.
Francesco Filippi attraverso il suo libro vuole mostrare il vero volto italiano, che ha sempre insabbiato le atroci violenze commesse dai nostri connazionali nei confronti dei popoli colonizzati, ma, al tempo stesso, ha continuamente puntato il dito contro l’imperialismo della Gran Bretagna e della Francia nel nord Africa.
Testimone di quanto accaduto in Libia è anche la nostra lingua e ciò è esplicato dall’autore quando afferma «Ancora oggi abitano il linguaggio comune espressioni come “fare un ambaradan”, ad esempio, per indicare una grande confusione. Il vocabolario della lingua italiana Zingarelli ne riporta, oltre all’uso, l’origine, derivante da Amba Aradam, massiccio montuoso dell’Etiopia presso il quale le truppe italiane sconfissero nel 1936 l’esercito abissino in una cruenta battaglia»[3].
È ben evidente, dunque, che modi di dire ancora in uso oggi, utilizzati spesso in tono scherzoso, rievocano invece, tristemente, soltanto gli atti violenti che i nostri compatrioti hanno commesso nei confronti del popolo africano.
Secondo una credenza popolare, che ha ispirato poi il testo di uno storico come Angelo Del Boca[4], gli italiani sono sempre stati considerati come “brava gente”, “buoni”, coloro che hanno “costruito le strade” e addirittura alieni al razzismo durante tutto il Novecento, se non per una breve parentesi storica imputabile all’influenza tedesca. Basterebbe, invece, leggere attentamente il saggio di Filippi per sfatare questo mito, che non è altro che una menzogna.
Si tratta di un saggio che ha la capacità di aprire la mente dei lettori e delle lettrici, di far capire agli studenti e alle studentesse che spesso ciò che viene raccontato nei manuali in dotazione nelle scuole non sempre corrisponde alla realtà o a tutta la realtà e, infine, insegna a non compiere gli stessi errori commessi nel passato, educando le nuove generazioni al rispetto di diverse culture, religioni, colori della pelle, lingue e tradizioni.
Noi però gli abbiamo fatto le strade è un libro interessantissimo e, da studentessa, ne consiglio vivamente la lettura, soprattutto a chi volesse scoprire qualcosa in più sul fenomeno del colonialismo italiano, che ha caratterizzato la nostra storia per ben ottant’anni.
[1]F. Filippi, Noi però gli abbiamo fatto le strade. Le colonie italiane tra bugie, razzismi e amnesie, Bollati Boringhieri, Torino 2021.
[2] F. Filippi, Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo, Bollati Boringhieri, Torino 2019.
[3] F. Filippi, Noi però gli abbiamo fatto le strade. Le colonie italiane tra bugie, razzismi e amnesie, cit., p. 230.
[4] A. Del Boca, Italiani brava gente?, Neri Pozza, Vicenza 2005.
Mi chiamo Martina Moccia, ho diciassette anni, sono una studentessa e frequento l’ultimo anno del Liceo “Leonardo da Vinci” a Bisceglie (BT). Sono una ragazza molto estroversa e curiosa, amo leggere, viaggiare, ascoltare musica e cantare. Il mio lavoro dei sogni consiste nell’essere d’aiuto al prossimo, specialmente ai bambini e allo stesso tempo visitare ogni angolo nascosto del mondo. Come mi immagino tra quaranta anni? Su un’isola tropicale, insieme alla mia famiglia, gestendo un orfanotrofio di mia proprietà.
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a cura di Michele Lucivero
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