Non abbiamo bisogno di dittatori. “Agorà. La filosofia in Piazza”: i diritti delle donne negati da Erdogan, Draghi, von der Leyen e Orban

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Sofagate e diritti delle donne
Sofagate e diritti delle donne

Partiamo dal presupposto che ci viene difficile tributare la nostra solidarietà a Ursula von der Leyen, e non per partito preso o perché non la meriti, ma semplicemente perché crediamo che non saprebbe cosa farsene, dal momento che occupa una delle cariche più importanti dal punto di vista strategico, politico e simbolico di tutta la geopolitica mondiale in uno dei momenti più delicati della storia degli ultimi decenni. Ma, soprattutto, ci viene difficile perché, proprio in virtù della posizione che occupa in quanto donna, avrebbe potuto cavarsela in maniera diversa e dare un grande esempio di civiltà, cultura ed emancipazione, valori ai quali noi europei, soprattutto quelli che hanno a cuore i diritti umani, non dovremmo mai rinunciare.

Prendiamo, invece, un’altra strada per commentare l’incresciosa scena di sottomissione becera e rivoltante di qualche giorno fa ad un personaggio politico dei più controversi della politica mediorientale, vicenda che ormai ha preso il nome di “Sofagate”.

Chiediamoci, intanto, cosa ci facessero in piena pandemia due rappresentanti dell’Unione europea in Turchia? A parlare della sorte del popolo curdo, abbandonato a combattere in solitudine l’ISIS? A condannare gli arresti di massa per gli oppositori politici interni? A cercare davvero una mediazione per risolvere qualche conflitto in medio e vicino oriente, compreso quello che vede la Turchia muovere venti di guerra in acque cipriote e greche per il controllo del gas? Sono andati davvero a stabilire dei punti fermi sulla condizione della donna, dal momento che la Turchia era uscita dalla Convenzione di Istanbul sulla violenza contro le donne?

Beh, se l’obiettivo era proprio quello di far ragionare Erdogan sulla Convenzione di Istanbul, i risultati della visita stanno nei fatti, cioè un totale fallimento e forse è proprio quello che voleva dimostrare il “satrapo” in mondovisione!

Eppure nel 2011 la Turchia, quando Erdogan era solo Primo Ministro e non Presidente della Repubblica, era stata la prima firmataria di questa Convenzione voluta dal Consiglio d’Europa per promuovere un miglioramento della condizione femminile in tutto il mondo, a partire, ovviamente, dai paesi a noi più vicini. Erano anni in cui speravamo, forse ingenuamente, che l’apertura della Turchia a considerare i diritti umani fosse la porta per l’ingresso nell’Unione Europea.

Ma poi il clima generale e l’attenzione verso i diritti umani, in particolare nei confronti della condizione della donna, sono cambiati, e a dire il vero non solo in Turchia. A ben vedere, il clima è cambiato un po’ in tutta Europa, dal momento che Repubblica Ceca, Lettonia, Lituania e Slovacchia non hanno mai ratificato la Convenzione di Istanbul. L’Ungheria di Viktor Orban, incontrato il 2 aprile da Matteo Salvini insieme al Primo ministro polacco Mateusz Morawiecki, nel 2020 ha bocciato il documento perché ritenuto favorevole all’ideologia gender. La stessa Polonia, che, considerate le frequentazioni, subisce una chiara involuzione sovranista e conservatrice,  prima aveva aderito e poi è tornata sui suoi passi, evitando di ratificare. Terminiamo l’audace carrellata con l’insuperabile Bulgaria, che nel 2018 ha definito la Convenzione di Istanbul «incostituzionale perché rendeva meno chiara la distinzione fra uomo e donna».

Ma la verità, al di là di queste bagatelle sui diritti umani e sulla condizione della donna, è che la posizione di silenziosa sudditanza politica in cui la Turchia, e non solo la Turchia, tiene tutta l’Europa è stata espressa chiaramente dal nostro Presidente Mario Draghi quando ha affermato che Erdogan è un «dittatore di cui abbiamo bisogno […]. Con questi chiamiamoli dittatori bisogna essere franchi nell’espressione della visione della società, ma pronti a cooperare per gli interessi del Paese. Bisogna trovare l’equilibrio giusto».

L’ha detto davvero…e, ovviamente, la Turchia ha protestato perché la Turchia è una Repubblica, non è una dittatura, come si permette Draghi?

Non è una differenza di poco conto, infatti, quella che tende a rimarcare Erdogan, ma è la dimostrazione che un paese moderno (e pensare che la Turchia si era ispirata all’Europa per costruire la sua Repubblica!), apparentemente democratico, possa tranquillamente compiere una brusca virata valoriale, etica e sprezzante dei diritti umani e della dignità delle persone più deboli o in minoranza, siano esse donne, migranti, omosessuali o disabili e la cosa più raccapricciante è che tale regressione civile serpeggia colpevolmente nella piena indifferenza anche in Italia.

La signora Ursula ha perso un’occasione importante. Come Europa abbiamo dimostrato, e le parole di Draghi l’hanno confermato, che gli interessi economici e strategici sono più importanti delle piccole battaglie per gli onerosi diritti umani e per la parità di genere. E così adesso i turchi, i maschietti s’intende, se la stanno ridendo, né più né meno delle crasse risate che si è fatto Gheddafi nel 2009, quando ha chiesto centinaia di donne per la sua visita in Italia e noi (il suo compare, s’intende) gliele abbiamo fatte trovare, pretendendo poi di spiegare loro la democrazia e l’economia!

Suvvia, per cortesia, adesso non indigniamoci davanti allo spettacolo indecoroso della Ursula: se una donna di potere non è in grado di cambiare o di sospendere un protocollo che la offende pesantemente mettendola in un angolo, come si può pretendete che delle donne indifese possano ribellarsi ai loro mariti vigliacchi senza subire conseguenze o pressioni di sorta?

Bell’esempio abbiamo dato alle donne europee e turche, ma purtroppo questa è la logica del potere, non solo della dittatura, di uomini e donne che congiuntamente subordinano i diritti umani agli interessi economici. Ci sarebbe da chiedersi, piuttosto, se chi la pensa come Draghi è più ingenuo o più complice delle derive liberticide che si aggirano ormai anche in Europa.


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a cura di Michele Lucivero

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