Non chiamateli populismi, sono idee politiche precise

199

E così la TAV TAC, uno dei progetti controversi, per Matteo Salvini, si deve fare. E’ solo il primo degli scontri che si aprono tra le due forze che si definiscono “non alleate”, ma socie di un contratto stilato davanti al popolo italiano – notaio per ora disposto a plurime violazioni. Ma poi, qualcuno comincerà a parlargli chiaro, comincerà, oltre la cortina dei termini nuovi e imbroglioni, a chiamare le cose col proprio nome.

Dopo la rivoluzione francese, l’assemblea legislativa regalò alla Francia e al mondo le idee generiche di destra e sinistra in cui allocavano formazioni di parte che andavano dai “Foglianti ai Giacobini”, dai “Vandeani ai Montagnardi”, passando per la “Palude” (formazione moderata di centro). Ma, allora come adesso, la fioritura di partiti e di sigle, servì a nascondere la sola divisione che interessava, e cioè quella tra la conservazione e il progresso. Del resto anche questi ultimi due termini col tempo si sono corrotti: sono stati cioè usati con scopi opposti a ciò che fin allora avevano rappresentato.

Un altro fenomeno della democrazia parlamentare è stato lo “slittamento”, forze nate cioè in opposizione a quelle della conservazione, ma lentamente scivolate verso la destra degli schieramenti, come è stato per i liberali, i democratici, e persino per i socialisti. Il nominalismo politico ha imperversato difatti per tutto il XX secolo, periodo in cui spesso i partiti si sono divisi in rivoluzionari e reazionari, e dove, tra gli estremismi di destra e di sinistra, è fiorito il radicalismo di centro, posizione mostratasi neutrale alle diverse dottrine economiche, ma attiva nella riorganizzazione dello Stato liberale.

Quelle che si sono combattute nei due secoli successivi alla rivoluzione francese, sono state le due dimensioni del vivere in società: la dimensione pubblica e quella privata. Per i Greci, la prima era quella a cui apparteneva la virtù politica (________ _____), mentre la seconda, _______, propria dell’idiota (individuo privato), apparteneva ad un ambito riservato, semplice e rozzo, lontano dagli interessi politici. Ma i Greci avevano uno Stato leggero, non avevano ancora un potente motore di trasferimento della ricchezza da una classe all’altra. Ecco perché oggi le idee economiche sono il fondamento delle dottrine politiche, e la divisione della ricchezza è tutta intera la proposta che le parti offrono al cittadino elettore.

E dunque Salvini non è chiaro. Non spiega – come d’altro canto non aveva spiegato Bossi – come si fa a passare da un partito moralizzatore della politica e “coscienza critica della sinistra” a un partito ultraliberista e attento solo alla difesa di una cittadinanza confinata nel territorio. D’altronde Umberto e i suoi non spiegarono nemmeno come si fosse potuto pretendere moralità mentre si derubavano i concittadini. Sfortunatamente la contraddizione del sodalizio ora al governo è proprio questa: due radicalismi da piazza che non s’intenderanno sul programma economico, dove purtroppo regna un’addizione di progetti pericolosa per i conti pubblici. Una forza, il Movimento 5 Stelle, che garantisce di aver preso il potere per poterlo riconsegnare ai cittadini artefici della politica, e l’altra, la Lega, che rassicura gli individui privati di far loro conservare il vantaggio conseguito in società. Questo è quanto risulta dalla somma del reddito di cittadinanza e della flat tax.

La rivoluzione liberale, di cui tanto avrebbe bisogno l’Italia affocata tra i privilegi di casta e di potere, non confliggerebbe in assoluto con i tetti di salario e i pavimenti di dignità previsti dalle morali socialiste a 5 stelle. Purtroppo non è sicuro che il liberalismo democratico sia il traguardo della Lega. Più volte lo spadone di Alberto da Giussano ha dimostrato una malafede funzionale agli egoismi regionali, una pratica politica totalmente tradizionalista, miope e partigiana. La civiltà propugnata dal M5S rischia di essere in perfetta antitesi alla politica del socio, giacché conservazione e progresso sono due processi che in politica non si sommano ma si escludono.

L’unico vero collante dei due è per ora la base popolare del consenso, la lotta per assicurarsi il favore di un ceto sociale impaurito per ragioni uguali e diverse che pretende una rappresentanza effettiva dopo i tradimenti dei partiti tradizionali, ma che ha infine una differente distribuzione geografica. Le ragioni della conservazione e la sua gente al sud sono tuttora modeste, soverchiate da quelle della rivoluzione; al nord pare invece che si fronteggino l’ansia della partecipazione politica e l’interesse idiota, in un territorio ancora in bilico tra i profitti di fine secolo e i rigori della lunga crisi.