Non è vero che tutto fa brodo, Aduc: “Il dado Maggi e l’Africa occidentale”

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dado Maggi

Michele Maggi nacque a Monza nel 1807, ma nel 1828 fu accolto come rifugiato in Svizzera che gli concesse la cittadinanza. Erano anni di moti e turbolenze liberali. Nel 1839 sposò Sophie Esslinger che nel 1849 gli diede il figlio Julius, vero genio industriale e della comunicazione d’impresa. Nel 1869, Julius trasformò l’attività molitoria paterna in una industria alimentare di successo mondiale. La Maggi-Würze, cioè Maggi-Condimenti, ha trasformato un cognome familiare nel brand globale di un dado per brodo – si legge nel comunicato che pubblichiamo dell’associazione   Aduc (qui altre note Associazione per i diritti degli utenti e consumatori su ViPiu.it, ndr) –.

Jiulius Maggi aveva intuito le straordinaria potenzialità dell’industria alimentare, e i motivi della sua espansione a livello globale. Le donne, finora casalinghe attentissime a preparare i pasti in casa, erano impiegate in numero crescente fuori casa come lavoratrici. Capì che avevano necessità di cucinare in molto meno tempo cibi ancora gustosi e nutrienti. Nel 1882, conobbe il dottor Fridolin Schuler, medico lungimirante e pioniere dello stato sociale in Svizzera. Le classi povere non potevano acquistare carne. I legumi, nutrienti e facili da digerire, erano la soluzione alla malnutrizione e all’elevata mortalità infantile. Nel 1885, Julius Maggi lanciò le prime zuppe istantanee, seguite l’anno dopo dai condimenti per insaporirle. Il successo fu istantaneo come la preparazione delle zuppe. La Maggi invase il mondo, o quasi, dilagando nei mercati in mezza Europa e negli Stati Uniti.
Il successo fu sostenuto da un’attentissima politica di identità di marca. Julius Maggi registrò una serie ampia di variazioni del proprio cognome, da Magi a Magique, eliminando ogni possibile imitazione e investendo molto in pubblicità. Fece circolare furgoncini che distribuivano gratis campioni di brodo caldo, piazzò la pubblicità sui treni e le corriere. Il brodo magico di Maggi era concentrato in un cubetto avvolto in una carta gialla e rossa e chiamato Bouillon Kub, che divenne il prodotto più venduto della ditta. I competitori fremevano ma non poterono fare altro che copiare. Perfino Pablo Picasso, l’artista inventore del Cubismo, lo mise in un suo dipinto, ispirato dai manifesti affissi dappertutto. Per il dado era fatta: il mercato sarebbe durato in eterno e avrebbe invaso il mondo. Non era più un brodo, ma l’immagine emblematica di una cultura. Nel 1947, il brand Maggi fu acquistato dalla Nestlé che distribuì i prodotti in ogni continente. Tutti avevano accesso al dado, per farci un brodino, o per insaporire qualsiasi pietanza, per solo pochi spiccioli.
Basta un minuto per sciogliere il dado, e il gusto, ogni gusto, aumenta, diventa l’umami che esalta il sapore di ogni alimento e che dipende dal funzionamento del nostro cervello. Il sistema gustatorio è molto complesso, s’intreccia con quello olfattorio, insieme al quale trasmette le sensazioni ai neuroni della corteccia cerebrale. Da qui il segnale si connette con l’ipotalamo, l’amigdala, e il sistema limbico, cioè con la parte più antica e istintiva del cervello. L’assunzione di sale (come di grasso, zuccheri e caffeina) stimola, come le droghe, i centri del piacere, in un giro neuronale scientificamente riconosciuto che provoca ricompensa psicologica, godimento, consolidamento di abitudini, apprendimento e memoria. Julius Maggi produsse industrialmente il glutammato di sodio che si forma spontaneamente nelle cotture lunghe, ma forse intuiva solo da lontano il sottile ma fondamentale ruolo nel processo cognitivo e decisionale svolto nella mente di ogni essere umano che si mette a tavola, o quando ricorda o pensa al cibo.
In Occidente da tempo circola l’idea che sale e glutammato di sodio siano dannosi alla salute. Gli scienziati confermano una cosa ovvia, che la dannosità dipende dall’eccesso di quantità. L’aumento di consapevolezza dei consumatori e il cambiamento dei loro gusti, sta però inducendo molte imprese a eliminare il glutammato dalle preparazioni alimentari. Nei dadi che non solo Nestlé-Maggi vende in Occidente, il glutammato non c’è più, anche se restano gli aromi, sotto la cui dizione merceologica si nascondono ingredienti simili. Il fatto è che il mondo non è solo l’Occidente e che non dappertutto si pensa alla stessa maniera.
In diversi paesi dell’Africa orientale, specialmente in Kenya, il consumo di dadi e di prodotti come i Nestle Maggi noodle, è stato a lungo rilevante. Dal 2015 gli spaghetti non sono più venduti nei supermercati di Kenya, Uganda, Tanzania, Ruanda e Sud Sudan, per la richiesta di ritiro avanzata dalla Consumer Federation of Kenya-Cofek, dopo la notizia che l’India li aveva banditi perché ritenuti insalubri. La controversia che ha coinvolto gli spaghetti però non riguarda i dadi da brodo, il cui uso è addirittura maggiore nell’Africa orientale, dove tutta la cucina è basata sul sapore del dado industriale. Oggi, proprio l’Africa centro-occidentale è il più grande mercato di produzione del dado Maggi, e Nestlé vende quotidianamente oltre 120 milioni di cubetti che ancora contengono glutammato. L’ampiezza del mercato dipende dal fatto che il dado Maggi in molte nazioni è entrato nella tradizione culinaria, notoriamente un segno forte di identità culturale. Anzi, Nestlé definisce Maggi un heritage brand per i Paesi africani, un marchio che appartiene alla cultura ereditaria (1) e lo sostiene dichiarandone la salubrità e tramite una fiction al femminile diffusa su Youtube (2).
Introdotto da Nestlé dagli anni Cinquanta, il dado Maggi caratterizza la cucina dell’intera regione, carburando i sapori tradizionali, sostituendo le preparazioni lente e costose a base di erbe e spezie. Poi, non c’è più bisogno di cuocere il pesce nell’acqua di mare per conservare il sapore salato. Basta il dado, divenuto ingrediente essenziale delle ricette tradizionali come il riso jollof, il pollo alla griglia, le zuppe di pesce con arachidi. In tutta l’area, sia nei ristoranti che nelle piccole cucine che si trovano in ogni mercato, il dado Maggi è un componente chiave della cucina, elencato col proprio logo e nome nella lista degli ingredienti, al pari di arachidi, fagioli, okra (simile alla malva), olio di palma, riso, miglio e sorgo. Anche nei libri di cucina regionale non si indica genericamente il dado come ingrediente, ma Maggi, il sapore per antonomasia.
L’attenzione alla salute e i gusti cambiano anche in questa regione dell’Africa, dove è senza dubbio crescente la richiesta di una cucina più salutare e un ritorno alla tradizione. C’è tuttavia la tradizione immaginata dai benestanti e dagli chef e quella custodita dalla gente comune. Lo svizzero di origine monzese Julius Maggi lo sapeva bene, Nestlé ancora meglio.

(1) https://www.nestle-cwa.com/en/history-everyday-home-cooking
(2) https://www.nestle-cwa.com/en/brands/culinary/yelo_peppe

* Gian Luigi Corinto, geografo ambientale, collabora con Aduc anche come Giannino