Non esiste alcuna “teoria gender”: facciamo un po’ di chiarezza. “Agorà. La Filosofia in Piazza”: risposta al lettore di ViPiù Franco Barbieri

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Non esiste alcuna
Non esiste alcuna "teoria gender"

Essendo quello dei diritti della comunità LGBTQIA un tema che ci sta molto a cuore, accogliamo volentieri la provocazione del lettore Franco Barbieri per ritornare sul tema, come già fatto nella giornata di ieri a proposito della decisione dell’Università del Piemonte Orientale di prevedere la “carriera alias” per le persone che si trovano all’interno del percorso di transizione da un genere all’altro, ma anche sulla scorta di un approfondimento del Progetto SexTeen, indirizzato principalmente agli/alle adolescenti al fine di prendere consapevolezza del proprio corpo e della realtà in cui vivono.

Prima di entrare nel vivo della risposta al lettore, il quale pone legittimamente l’accento sulla liceità della Commissione Europea di bloccare i fondi del Recovery all’Ungheria per le derive anti-LGBT di quel paese (tema sul quale promettiamo di ritornare in un secondo momento), è opportuno, però, chiarire quale tipo di battaglia stiamo conducendo, anche e soprattutto attraverso il sostegno al DDL Zan.

Va, dunque, innanzitutto chiarito che con comunità LGBTQIA stiamo parlando di cittadini e cittadine che non rientrano in quella classica, tradizionale e dicotomica distinzione tra maschio/femmina, uomo/donna, risultato di una determinata concezione del mondo e della realtà che tendeva a patologizzare, ad escludere, ad eleminare, talvolta anche fisicamente, tutti coloro che non rientravano in quella classificazione binaria. Per fortuna, ci siamo lasciati alle spalle quella visione restrittiva della sessualità e anche l’omosessualità il 17 maggio 1990, data in cui ricorre la giornata internazionale contro l’omo-bitransfobia, è stata definitivamente cancellata dall’elenco delle malattie mentali dall’OMS, la quale l’ha poi definita come «una variante naturale del comportamento umano»: e questo è un primo fatto storico, un dato incontrovertibile che cambia notevolmente la comprensione della realtà e l’atteggiamento nei confronti delle persone…..non una “teoria”.

Il significato di questo passaggio storico è chiaramente di natura sociale e culturale, giacché vuol dire che migliaia di soggetti possono da quel momento in poi dichiarare con orgoglio la propria identità sessuale senza incorrere in reclusione, terapie correttive o discriminazioni di ogni sorta. È in quest’ottica che va compreso storicamente il momento del Pride (orgoglio in inglese), sebbene talvolta esso possa scadere in manifestazioni folcloristiche.

Ma gli studi di tipo antropologico e biologico non si sono fermati alla scoperta della naturalità dell’omosessualità e, nel loro tentativo umanizzante di decostruire pregiudizi nei confronti di ogni tipo di discriminazione, sono arrivati a stabilire che il ventaglio delle varianti sessuali è molto più ampio.

Infatti, accanto a lesbiche (L), donne sessualmente attratte da donne, gay (G), uomini sessualmente attratti da uomini e bisessuali (B), persone attratte da entrambi i sessi, esistono anche soggetti transgender (T), che nascono con un determinato sesso biologico, ma questa circostanza genera così tanto disagio intrapersonale e interpersonale che essi non desiderano altro che abbandonarlo perché da sempre sentono di appartenere al sesso opposto. Con la Q, inoltre, si intende la cultura queer, cui abbiamo già accennato in una delle puntate del Progetto SexTeen, alla quale bisogna poi aggiungere gli intersessuali (I), i quali nascono con caratteristiche sessuali e genitali sia maschili sia femminili, sui quali la chirurgia non si sente più legittimata ad intervenire forzando l’appartenenza all’uno o all’altro genere, rischiando di causare disagio nel momento della crescita, e, infine, gli asessuali (A), vale a dire coloro che (beati loro, nel senso letterale del termine!) non provano pulsioni sessuali, non sono interessati al sesso, un fenomeno in forte crescita, probabilmente legato ad una sorta di atteggiamento bulimico nei confronti dell’attuale ipersessualizzazione della realtà o, forse, una semplice presa d’atto, assolutamente libera e consapevole, adeguata ai nostri tempi, che non tutti gli uomini e le donne provato attrazione sessuale o debbano necessariamente sentire il bisogno di procreare.

Tutto questo per dire che parlare di “teoria gender” non è affatto corretto: non esiste alcuna teoria o “ideologia gender” e, pur convenendo con il nostro lettore sul fatto che nella realtà che viviamo non vi siano certezze assolute, a maggior ragione questa battaglia va condotta nel rispetto della dignità “attuale”, storica, di soggetti che esistono realmente e che chiedono di essere accettati e riconosciuti per come sono e per come si sentono, al di là delle teorie e delle facili classificazioni, che, invece, sono, a ben vedere, molto più complesse e fluide.

Se semplicemente ci si accosta agli “studi di genere”, espressione più corretta per riferirsi a questo genere di argomenti, ci si accorge che esiste una serie infinita di posizioni, talune anche abbastanza raffinate, che cercano di chiarire la questione relativa alla sovrapposizione e allo slittamento semantico tra i concetti di sesso e di genere. Il punto cruciale della questione sta nel comprendere se vi sia qualcosa che accomuna tutti i soggetti di sesso femminile di tutte le culture, di tutte le epoche storiche, di tutte le età; se ci sia qualcosa di essenziale dell’essere femmina, che determina anche il comportamento dell’essere donna; oppure se sia il caso di operare una divaricazione linguistica, e di conseguenza concettuale, antropologica, mentale, tra il sesso, biologicamente determinato in maschio e femmina, anatomicamente definito, anche se le varianti anatomiche sono molto più differenziate di quello che si ammette comunemente, e il genere, che viene distinto in donna e uomo in seguito o in virtù di un complesso simbolico riferito ad una cultura particolare, come sosteneva tempo fa la filosofa Simone de Beauvoir[1].

E, allora, è chiaro che, ancora una volta, bisogna precisare che anche a partire dai “semplici” lemmi linguistici che adoperiamo, financo mediante l’uso degli articoli e delle desinenze di genere, ci ritroviamo ad utilizzare, forse consapevolmente o inconsapevolmente, caro lettore, un linguaggio pregiudicato, che riduce a teoria o ideologia, appannaggio di una determinata posizione politica, una questione che ha a che fare con i diritti delle persone, con la dignità di essere umani, con le politiche sociali di inclusione.

Da questa confusione tra Politics e Policy occorre uscire quanto prima, perché riconoscere e garantire, anche e soprattutto attraverso il DDL Zan e il blocco dei fondi del Recovery all’Ungheria di Orban, i diritti sociali e umani alle persone LGBTQIA è una questione di civiltà che tutti i partiti dovrebbero sostenere, a meno che non vogliano rivelare la chiara natura antidemocratica e contraria ai diritti umani!

[1] S. de Beauvoir, Il secondo sesso, Il Saggiatore, Milano 2016.


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a cura di Michele Lucivero

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