Immaginiamoci la scena improbabile di un Andrea Pirlo, destabilizzato nel suo aplomb, rivolgersi a Cristiano Ronaldo, dicendogli «Ti ammazzo!» Al di là dell’occasione per riempire pagine e pagine di giornali, distraendoci dalle questioni più impellenti della politica, non c’è alcun dubbio che ad abbandonare il campo di gioco, la squadra e a dover stracciare il contratto sarebbe in quel caso il maleducato Andrea Pirlo.
E, invece, provate a cercare sui giornali la vicenda accaduta qualche giorno fa nel basket per di più femminile, che già di per sé non fa notizia, di un allenatore, Claudio Rebellato, che si rivolge ad una giocatrice dell’As Vicenza di A2, la ventenne siciliana Elena Vella, colpevole di mostrare disappunto con un sorriso ironico verso la parole di “consolazione” dopo una sconfitta da parte del coach, dicendole, non certo scherzosamente, «Ti ammazzo» accompagnando le parole con il tentativo di scagliarle una sedia addosso, così pare secondo il racconto della ragazza, riferito da Marta Benedetti su Il Giornale di Vicenza di oggi, 13 gennaio, .
Tutto ciò è accaduto nella seria A2 del basket femminile ad una ragazza che ha anche militato nella nazionale giovanile italiana, ma nessuno se ne è curato minimamente: a decidere di abbandonare immediatamente la squadra di pallacanestro del Vicenza è stata la siciliana Elena Vella, tornatasene ad Erice, mentre l’allenatore Claudio Rebellato incassa la fiducia della società, la quale, inoltre, si è mostrata disposta a “far ragionare” la ragazza impertinente per farla tornare sui suoi passi.
Ma dov’è la differenza tra la Vella e Ronaldo? Cosa fa di un fatto, a nostro avviso molto grave, una notizia da prima pagina oppure un episodio di avvicendamento nel mercato sportivo?
A nostro avviso la risposta è una sola: la nostra cultura! Una cultura supinamente accettata e che continuiamo a reiterare nei nostri atteggiamenti; una cultura che trova indifferente che un uomo dica ad una donna «Ti ammazzo». Ma sì, in fondo si tratta solo di parole, lei ha mancato di rispetto (con un sorrisino ironico, sic!), e si merita di essere castigata dall’uomo, che incombe sempre come figura paterna, tutto sommato benevola, ma sempre degna di rispetto. La cultura, però, non è altro che quel complesso di parole nelle quali si annidano i valori, la morale di un gruppo sociale, che poi cerca di metterla in pratica nelle sue azioni. La cultura è quella che generiamo nelle scuole, nelle associazioni sportive e in tutte le occasioni in cui si realizzano processi educativi, circostanze nelle quali noi adulti dovremmo pesare costantemente le parole che utilizziamo.
Non è certo nostra intenzione chiamare sul banco degli imputati l’allenatore di turno, anche perché non crediamo che la giustizia sia efficace per imprimere significative svolte educative, quanto la cultura stessa, vale a dire tutti i soggetti che continuano a riprodurre con la loro indifferenza atteggiamenti irrispettosi, violenti, anche se solo verbalmente, giacché è proprio nelle parole che alberga la cultura di un popolo.
E un ruolo determinante in questo processo di costruzione della cultura lo giocano proprio i giornali, quelli scritti da professionisti seri e responsabili, ormai pochi in circolazione, che si trovano in concorrenza sleale con i social media, accessibili a tutti e capaci di orientare le scelte degli utenti.
Della brutta storia di Elena Vella, tuttavia, ciò che lascia più disarmati è il finale dell’unico articolo di cronaca sportiva sulla vicenda, scritto dalla collega, una donna, Marta Benedetti, la quale, tutto sommato, ritiene che «Giocatrici che vorrebbero venire a Vicenza ce ne sono tante»… Ab uno disce omnis, (da uno capisci come sono tutti) diceva Virgilio.
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a cura di Michele Lucivero
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