Non mi fido: dopo governo gialloverde quello giallorosso sarà grigiastro

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Non mi fido
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Non mi fido. Oggi il Presidente della Repubblica ha incaricato Giuseppe Conte di formare il nuovo governo. Conte ha accettato con riserva.

Si sa che il governo sarà, con tutta probabilità, formato principalmente da M5S e PD. Dopo alcune giornate di incontri tra le delegazioni dei due partiti nei quali si è parlato sostanzialmente di nomi e degli incarichi più importanti, non si sa ancora nulla sul nuovo programma di governo. Alcuni titoli sono stati fatti (e sono sempre gli stessi di qualsiasi compagine che si appresta a governare il paese) ma di contenuti poco o nulla. Ci viene detto che sarà un governo di cambiamento, l’ennesimo (o il solito?).

Sarà comunque un governo saldamente legato al mercato, alla UE, ai  parametri che ci verranno imposti. Un governo che affronterà, forse, i grandi temi e le questioni (quelle che vengono chiamate emergenze ma che sono problemi endemici del sistema vigente) ma con quali priorità e da quale punto di vista? Perché proprio questo è il punto. Se cambiamento ci sarà dovrà essere sostanziale, una trasformazione radicale del modello di sviluppo. Ed è per questo che non mi fido.

Si può sperare che ci sarà maggiore attenzione alle questioni del lavoro? Ai problemi dei lavoratori in primo luogo. Alla sicurezza, alle retribuzioni, all’orario di lavoro. Difficile crederlo se a governare sono quelli che hanno approvato il Jobs Act, il taglio dei contributi delle imprese destinati all’INAIL, i decreti sicurezza (primo e bis) che, anche se poco “pubblicizzate”, contengono norme che vanno contro le lotte dei lavoratori. Difficile, se non impossibile, credere che possa cambiare qualcosa di sostanziale se al governo ci sono quelli che vogliono privatizzare tutto, che hanno sostenuto i referendum sull’autonomia differenziata delle regioni più ricche, che hanno, di fatto, voluto o non sufficientemente combattuto quelle grandi opere che servono poco o nulla ma che permettono grandi profitti privati (ricordiamo il Mose, la Pedemontana veneta, TAP e TAV).

Difficile credere a un cambiamento sostanziale e radicale se tutte le forze politiche rappresentate in parlamento sono comunque saldamente legate e omogenee al sistema capitalista trionfante. Se si ergono a baluardo della civiltà occidentale contro quei “dittatori” (come li definiscono) e quei governi che portano avanti progetti di sviluppo opposti a quelli che il “capitalismo reale” vorrebbe imporre loro.

Io credo che il nuovo governo che, con tutta probabilità, verrà insediato, sarà solamente un palliativo, una blanda medicina che manterrà il malato vivo ma ancora in coma. Credo che non ci saranno sostanziali differenze rispetto ai governi precedenti, non escluso l’ultimo denominato “giallo-verde”. Sarà qualcosa che servirà a “tirare avanti”, di fatto in continuità con i precedenti (del resto anche i decreti sicurezza di Salvini non erano forse l’evoluzione di quello di Minniti?) e a garantire guadagni e profitti a chi li ha sempre fatti, magari cancellando qualche diritto collettivo in cambio di qualche diritto individuale (o il suo  simulacro).

Potranno chiamarlo “governo giallo-rosso” (anche se “rosso” è considerato un partito, il PD, che al massimo può essere definito “rosa pallido”) ma sarà sempre un governo grigiastro, come i precedenti. Senza grandi prospettive, senza voglia di cambiare realmente le cose a partire dalla cancellazione, dalla Costituzione, di quel pareggio di bilancio che resterà saldo come una muro a impedire investimenti rivolti a chi lavora e non a chi sfrutta il lavoro altrui.

Per tutto questo, io non mi fido.

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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.