C’è un punto di Corso Palladio, a Vicenza, che è assolutamente dissonante dal resto della “strata major” cittadina (qui tutte le puntate di “Non solo Palladio”, ndr). Ma la sua alienità dal contesto non è, una volta tanto, indice di bruttezza, bensì introduce un inatteso e suggestivo spazio verde nella stretta ed elegante duplice cortina di palazzi, che si sviluppa per 708 metri da est a ovest.
Sono i Giardini di Santa Corona che, in leggero declivio, si stendono dalla facciata meridionale della Chiesa al Corso, che corre qualche metro più in basso del muro di contenimento e della recinzione.
L’improvvisa pausa fra gli edifici costringe il passante ad alzare gli occhi e a restare ammaliato dalla visione di quel prato, di quegli alberi e della lunga parete rossiccia della chiesa. È questo il fascino: i colori così diversi da quelli del Corso, uno spazio vuoto invece di un palazzo, una chiesa che ha centinaia di anni in più di tutti gli edifici della via.
Si chiama Contrà del Collo quella parte del centro cittadino “intra moenia” che si perimetra con le attuali contrà Santa Corona e Canove Vecchie e si sviluppa su due livelli, perché lì comincia a degradare l’altura su cui era sorta la prima città e finisce, più in basso, a ridosso delle mura e del Castello Tealdo, la residenza fortificata di Ezzelino III da Romano.
Il “tiranno” – come è definito dai vicentini (e non solo) di metà del XIII secolo – è uno dei due personaggi storici che incontriamo all’origine della Chiesa di Santa Corona. Ezzelino vi è coinvolto indirettamente, nel senso che la costruzione dell’edificio religioso è collegata alla liberazione della città dal suo dominio nel 1259 (anno della sua morte) e alla rinascita del Comune.
A metà del Duecento Ezzelino è il governatore di mezzo Veneto per conto dell’imperatore Federico II e, a Vicenza, toglie ogni potere alle famiglie nobili, che pure sono ghibelline. Il suo dominio è stato tramandato come una tirannia anche se, all’inizio, rispetta gli statuti comunali e la legalità, ottenendo il favore di parte della popolazione. Morto Federico II, trasforma la delega imperiale in potere personale e cambia il sistema di governo imponendo tasse e gabelle ed espropriando i privati delle loro proprietà. Inevitabile che, quando passa a miglior vita, i vicentini esultino.
Qui s’inserisce nella vicenda l’altro personaggio, lui sì davvero determinante per Santa Corona. È un vescovo, Bartolomeo, il cui nome oggi è noto perché… è quello della cantina sociale di Breganze. Intitolazione piuttosto curiosa e arbitraria, visto che lui non è nato lì e nemmeno è certo che appartenesse alla omonima famiglia.
Un grand’uomo questo frate domenicano, che fa carriera a Roma diventando consigliere di alcuni papi e poi nunzio apostolico e diplomatico. Proprio nella veste di ambasciatore del Vaticano, riceve in dono dal re di Francia Luigi IX una reliquia a dir poco unica e preziosa: una spina della corona della crocifissione del Cristo. Ecco il suo legame con la chiesa vicentina.
Il contesto comune ai due personaggi è questo: il papa Alessandro IV lo nomina vescovo di Vicenza per contrastare il potere di Ezzelino e, quando questi muore, Bartolomeo diventa l’uomo forte di una città in cui la nobiltà non è significativamente rappresentata in Consiglio comunale e gli altri ceti produttivi non sono all’altezza di esprimere dei leader.
Il novello vescovo s’insedia regalando a Vicenza la famosa spina e il Comune decide, nel 1260, di costruire una nuova chiesa per custodire la reliquia.
Santa Corona ha nei secoli un crescendo esponenziale. Strutturalmente, all’edificio originale (modificato tra il 1481 e il 1489 da Lorenzo da Bologna) si aggiungono cappelle, una cripta, il portale che dà sui Giardini e ben due chiostri confinanti arrivando così a occupare tutto il fronte strada dal Corso all’ex Tribunale. Religiosamente, il successo della chiesa non è inferiore perché diventa ben presto la più importante di Vicenza e le famiglie patrizie rivaleggiano per avervi una propria cappella e per dotarla di altari monumentali e abbelliti da opere d’arte. Il peso politico di quello che è diventato un complesso religioso è accresciuto quando diventa la sede della Santa Inquisizione vicentina, una istituzione che è un vero contropotere nella laica Repubblica Serenissima.
La chiesa e i Giardini sono ancor’oggi un gioiello di grande bellezza incastonato nel centro di Vicenza. L’esterno dell’edificio è affascinante nella sobria linearità dello stile cistercense e nel cromatismo giocato su due soli colori, il caldo rosso del mattone e il bianco dei profili in pietra. Una macchia di colore nell’uniformità delle sfumature di grigio degli edifici circostanti.
L’interno della chiesa è una sequenza di meraviglie, a cominciare dalla tela di Giovanni Bellini “Il battesimo di Cristo” che esalta la Cappella Garzadori e che è il dipinto più bello della città. Anche se in misura marginale la nostra archistar Andrea Palladio ci mette una firma: la cappella che progetta per i Valmarana. Nella chiesa c’era anche la sua tomba di famiglia e lui stesso vi è sepolto per tre secoli, fin quando il Comune, nel 1845, riesuma una salma anonima dal sepolcro e, attribuendole arbitrariamente l’identità dell’architetto, la trasla nel nuovo cimitero monumentale. Naturalmente, a Santa Corona è sepolto anche il vescovo Bartolomeo, che, post mortem, arricchisce con la beatificazione un già straordinario curriculum.
I Giardini fanno da corollario naturale a tante bellezze create dall’uomo. Per goderne appieno la estemporanea malia è meglio accedervi dalla porta laterale della chiesa, sormontata da un alto protiro. Dalla semioscurità dell’interno si passa in un attimo alla luminosità del piccolo parco, al verde intenso del prato, alla penombra prodotta dagli alberi. È un effetto coinvolgente, mancano solo i domenicani…
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