Ambellicopoli. Nome misterioso di un luogo invece ben noto di Vicenza (qui tutte le puntate di “Non solo Palladio”, ndr). Colle di Ambellicopoli è infatti il toponimo della più popolare Villa Guiccioli, alias Museo del Risorgimento, dietro alla quale c’è uno dei parchi più belli della città.
Siamo a Monte Berico, a poche centinaia di metri dal Santuario della Madonna, sul crinale che si spinge a meridione. Un versante dà sulla meravigliosa Valletta del Silenzio (cara a Antonio Fogazzaro) e sulla Rotonda, l’altro sulla sequenza delle incontaminate valli di Gogna. Un contesto che permette di spaziare dalla pianura verso Padova, agli Euganei e alle propaggini delle Prealpi sopra Montecchio Maggiore e dalle cime di Recoaro agli Altipiani e poi al Grappa. Una visione a 360 gradi.
Il sito, che è uno dei più affascinanti di Vicenza “urbicula suavis” consta di una villa settecentesca e di un parco di quattro ettari, che occupa la parte sommitale del colle a 150 metri sul livello del mare e in cui sono presenti ben 536 piante fra alberi e arbusti.
Perché questo colle si chiama Ambellicopoli? Per scoprire l’origine del nome si deve risalire a due secoli e mezzo fa. La cronologia parte dal 4 marzo 1788, giorno in cui le veronesi contesse Laura e Annamaria Bombarda di Verona cedono i loro possedimenti sul Colle a un vicentino, Antonio Marchiori, di cui non si sa nulla se non che era proprietario di “case e beni arativi, prativi e boschivi sul Monte Berico”. Insomma: un vicino. Marchiori investe sul bene acquistato, che dobbiamo immaginare ancora allo stato naturale e forse dotato solo di qualche edificio rurale, lo qualifica e migliora. Non si può escludere che Marchiori abbia agito su commissione del successivo acquirente o addirittura per fare personalmente una speculazione edilizia. Il sospetto è provocato dal fatto che, solo sei anni dopo l’acquisto e cioè nel 1794, lo rivende a un veneziano di origine greca, Marino Ambellicopoli. Ecco, dunque, chi dà il nome al sito. È, questi, un “mastro di zecca” della Repubblica Serenissima e cioè un artista, un incisore che modella lire e zecchini, oppure – più probabilmente – il direttore del conio veneziano.
Sul perché Ambellicopoli si trasferisca da Venezia, sede del suo lavoro, proprio a Vicenza, non ci sono notizie. Forse nel presentimento che è prossima la fine della Serenissima? Due anni dopo, infatti, i francesi di Bonaparte invaderanno il Veneto. Fa comunque sul serio: affida il progetto di una villa a un grande architetto veneziano, Giannantonio Selva, che, oltre a numerosi palazzi sulla Laguna, ha firmato il Gran Teatro La Fenice. Non uno qualunque.
Dopo cinque anni, è pronta la dimora. Pur essendo un neo classico e neo palladiano, Selva disegna un edificio molto sobrio e lineare, che non ricorda assolutamente le ville dell’archistar e che sarà molto rimaneggiato nel prosieguo. Il resto del colle però resta destinato ad azienda agricola.
Il 10 giugno 1848 la Grande Storia fa tappa sul Colle Ambellicopoli. La colonna principale dell’esercito austriaco comandato dal maresciallo Josef Radetzky scende dalla dorsale dei Berici per riconquistare Vicenza, insorta e difesa da una forza mista di cittadini, volontari e battaglioni ex-pontifici. È questo, infatti, il lato più vulnerabile delle difese urbane e le tre linee di presidio (quella di Ambellicopoli è l’ultima), predisposte dai colonnelli Enrico Cialdini e Massimo D’Azeglio, cadono una dopo l’altra pur combattendo strenuamente i difensori.
Cinque anni dopo, gli eredi di Ambellicopoli vendono l’intera proprietà a un conte ravennate, già ministro delle finanze della Repubblica Romana e poi deputato e senatore del Regno d’Italia. È sua la grande e benemerita idea di trasformare l’area rurale alle spalle della villa in un parco con funzione ornamentale e ricreativa dotandolo di un vasto corredo botanico.
Nel 1935, infine, il complesso diventa pubblico: l’acquista infatti il Comune di Vicenza. Con Regio Decreto dello stesso anno è dichiarato zona di interesse storico nazionale e, tre anni dopo, diventa sede del Museo Storico del Risorgimento nazionale e della Guerra, con l’apporto di numerose donazioni di cimeli e documenti. Dopo il secondo conflitto mondiale il tema museale è ampliato alla Resistenza.
Basterebbe questo ricco passato a connotare di importanza il sito ma ciò che più conta è la bellezza del parco. L’accesso più suggestivo è quello dalla Valletta del Silenzio, da cui s’inerpica prima una ripida scalinata e poi un più agevole sentiero che, fra arbusti e alberi, ascende il colle e immette improvvisamente nell’ondulato pianoro in cui culmina l’altura. È più gradevole conoscere da qui il parco piuttosto che dal retro della villa, perché ci s’arriva giusto nel mezzo e si evita la mediazione – a dire il vero non proprio splendida – degli edifici.
La sensazione immediata che trasmette il giardino è una grande serenità. I rumori sono quelli della natura, nulla di artificiale o umano. Il verde è il colore dominante, quello delle piante e dei prati, un cromatismo che notoriamente induce la pace nella mente e nell’animo. D’estate, poi, anche nei giorni più caldi qui la temperatura è più bassa e gradevole sia perché la pur contenuta maggiore altezza rispetto alla campagna è sufficiente a mitigare la calura sia perché l’ombra prodotta dai grandi alberi del bosco filtra e scherma i raggi del sole.
Camminare nei vialetti, riposarsi sulle panchine, guardare e magari imparare a riconoscere le specie botaniche: se si ha voglia o bisogno di una pausa, di uno scenario diverso da quello urbano, sul Colle Ambellicopoli si trova tutto quello che serve. A dieci minuti dalla città.
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