È di pochi giorni fa la sottoscrizione del Protocollo di intesa Nazionale tra il Ministero della Giustizia e l’associazione di volontariato e di protezione civile “Istituto per la famiglia ODV” per la promozione della stipula di convenzioni locali, per lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità ai fini della messa alla prova per adulti.
L’iniziativa si iscrive nell’ambito di un più complesso percorso del “Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità” volto a potenziare l’offerta di opzioni lavorative non retribuite e di pubblica utilità, ampliandone contemporaneamente la gamma.
A riguardo va evidenziato che le regole relative agli standard minimi per le misure non detentive (le regole di Tokyo del 14 dicembre 1990) promuovono il coinvolgimento della comunità nella gestione ed esecuzione delle sanzioni non detentive e in particolare nell’azione di sostegno dell’autore del reato.
Nel tempo si sono susseguiti numerosi interventi legislativi in tema di “sanzioni sostitutive”; tra questi, la l. 28 aprile 2014, n. 67, che ha introdotto l’art. 168 bis c.p., in base al quale, su richiesta dell’imputato, il giudice può sospendere il procedimento e disporre la messa alla prova, tenuto conto del programma di trattamento predisposto dall’ufficio penale esterno (UEPE).
Tali uffici, come sancito dall’art. 120 d.P.R. n. 230 del 2000, curano la partecipazione della comunità esterna al reinserimento sociale dei soggetti sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria e le possibili forme di essa.
Gli stati generali dell’esecuzione penale, nella relazione finale del “Tavolo 12” hanno auspicato il sostegno alle misure e sanzioni di comunità, anche attraverso la promozione di un’effettiva sinergia tra enti del territorio, del terzo settore, tra associazioni di volontariato e le imprese.
Il lavoro di pubblica utilità (LPU), come previsto dal legislatore, ai sensi dell’art. 168 bis c.p., si sostanzia in una prestazione di lavoro, non retribuita, in favore della collettività e di durata non inferiore a 10 giorni, tenendo conto anche delle specifiche professionalità e attitudini lavorative dell’imputato, da svolgersi presso lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni, le Aziende Sanitarie, presso Enti o organizzazioni anche internazionali, che operano in Italia di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato.
L’intento che persegue il Ministero della Giustizia, attraverso la sottoscrizione del protocollo, è proprio quello di promuovere la stipula di convenzioni per lo svolgimento del LPU, creando rete tra gli uffici di esecuzione penale esterna, le sezioni zonali dell’Istituto per la famiglia – ODV (sedi IPF) ed i tribunali ordinari territorialmente competenti.
A ciò si aggiunge un’ulteriore finalità, che riguarda la stipula di accordi locali, tra l’UEPE e le sedi dell’IPF, tesi ad assicurare all’imputato, e più in generale al soggetto sottoposto a provvedimenti dell’autorità giudiziaria, l’accesso a programmi di inclusione sociale, di promozione della cultura della legalità, come forma di prevenzione della recidiva e di garanzia della sicu-rezza sociale e allo sviluppo del senso di cittadinanza, di giustizia e di rispetto delle leggi.
Gli obiettivi che si propone di raggiungere il protocollo siglato dal Ministro con la sede IPF appaiono di grande impatto sociale e direzionati verso un cambio sostanziale di rotta, attraverso una reinterpretazione novellata delle misure alternative alla pena.
Si palesa una chiara volontà di dare priorità e centralità all’individuo, destinatario di un provvedimento dell’autorità giudiziaria che non risulta più solo “punitivo”, ma che attenziona in maniera incisiva la componente rieducativa, in uno con quello di inclusione e di recupero del soggetto, favorendo l’accettazione della funzione riparativa, mediante specifiche attività risarcitorie del vulnus che l’illecito ha provocato alla collettività.
Una visione politica moderna non può prescindere da una leale e concreta collaborazione tra Stato e cittadino. Un piccolo passo in avanti, da completarsi con la previsione di nuove tipologie di pena non detentiva, l’implementazione delle misure alternative alla detenzione, e la riforma organica delle misure di sicurezza.
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Fonte: Nuovi modelli di reinserimento sociale