Era il 1957 quando gli operai al lavoro per la costruzione della litoranea fra Terracina e Gaeta si ritrovarono davanti una serie di resti antichissimi: la scoperta fu eccezionale, poiché in pochissimo tempo si capì che si trattava della famosissima Villa di Tiberio, citata in tantissime fonti ma mai individuata fino a quel momento.
Parliamo di un’attribuzione che si porta dietro quasi due millenni di storia: Tiberio, infatti, è stato imperatore dal 14 al 37 d.C.! Ma, al netto dello scenario suggestivo in cui questo sito archeologico a cielo aperto si immerge – a poche centinaia di metri da Sperlonga, lungo la Via Flacca, strutturandosi in più edifici disposti su diverse terrazze rivolte verso il mare -, c’è stato un altro ritrovamento che ha fatto tremare le gambe: un gruppo scultoreo raffigurante una vera e propria Odissea di marmo dedicato ad Ulisse e alle sue gesta. Un’opera mastodontica che, però, risultava quasi interamente frantumata e abbandonata sul pavimento della grotta annessa alla villa.
L’Odissea perduta – Non sorprende che una residenza imperiale fosse decorata ed impreziosita con oggetti d’arte di pregio; ma per quale motivo quelle statue, quei busti, quei gruppi marmorei erano stati letteralmente polverizzati?
La storia sembra aver individuato i colpevoli: la villa, infatti, fu a lungo abitata da monaci (pare più o meno fino al VI secolo), decisi a sminuzzare e far sparire quelle opere che tramandavano un culto che niente aveva a che fare con il “moderno” cristianesimo; sotterrare persino le polveri di quelle sculture significava – praticamente e metaforicamente – cancellare ogni traccia del paganesimo da quel luogo. Non bisogna dimenticare, oltretutto, che nel corso dei secoli la Riviera di Ulisse è stata meta di saccheggi, danneggiamenti e depredazioni che hanno sicuramente coinvolto anche il sito, erodendone sempre di più la superficie visibile.
Il gruppo marmoreo – Quando i resti di questo incredibile tassello del nostro passato sono venuti alla luce, il Governo Italiano si impegnò in due sensi:
- mise in sicurezza la villa;
- si occupò di quanto rimasto dei gruppi scultorei commissionandone, ove possibile, un’attenta e delicata ricostruzione.
Nel 1963, poi, in quella stessa grotta che si apre sul mare si inaugurò il Museo Archeologico Nazionale di Sperlonga, su progetto di Giorgio Zama. Qui, le opere recuperate si ritrovano esposte a pochi metri da dove erano collocate originariamente, mantenendo un legame a doppio filo con il luogo. Il museo si articola come viaggio fra natura e storia, mito e letteratura, attraversando la macchia mediterranea e ciò che resta della villa imperiale, immergendo i visitatori nei panorami a perdifiato su Monte Circeo e isole pontine: gli stessi panorami che fecero innamorare Tiberio tanti secoli fa… e Ulisse prima di lui (a patto che sia davvero esistito).
Il grande agglomerato di sculture si compone di una statua di Ulisse, un Gruppo di Scilla e un Gruppo del Polifemo accecato e quello che racconta ricalca le leggende che sono ancora oggi tramandate: il promontorio a nord riferibile all’isola della Maga Circe, dove il re di Itaca risiedette per oltre un anno, e la popolarità che rendeva l’eroe pop anche all’epoca, tanto da meritarsi delle raffigurazioni su alcuni vasi greci databili intorno all’inizio del VII secolo a.C.
Non bisogna dimenticare, infatti, che Ulisse – anzi, Odisseo – è stato un vero e proprio mito nella cultura romana ma anche ellenistica e che fu proprio il fascino che, nel tempo, si è guadagnato a diventare linea guida per l’Eneide di Virgilio, scritta quando Tiberio era ancora giovane e ambientata più o meno negli stessi luoghi dell’Odissea, toccando anche alcune zone della Campania settentrionale e del Lazio meridionale. D’altronde, si dice che Gaeta abbia mutuato il nome da Cajeta, nutrice di Enea, morta durante il viaggio e sepolta proprio all’interno del perimetro della città odierna.
Ecco perché Tiberio, probabilmente, doveva sentirsi così legato a questi territori.
I due grandi gruppi scultorei, quelli di Polifemo e Scilla, vengono riferiti agli scultori “padri” anche del meraviglioso Gruppo del Laocoonte esposto nei Musei Vaticani (Athanodoros, Hagesandros e Polydoros di Rodi) che, a sua volta, probabilmente è una copia romana della versione originale in bronzo e racconta un altro episodio dell’Eneide: il momento in cui il sacerdote troiano Laocoonte e i suoi figli vengono assaliti dai serpenti marini.
Non mancano anche altre opere di intenti diversi, come quelli che celebrano la Gens Iulia (Venere Genitrice) e che raffigurano divinità (Dioniso, Athena, Salus), esemplari di ritrattistica (testa di Traiano) ed elementi decorativi (statua di fanciulla panneggiata, forse identificabile con Circe, putti, satirelli e maschere teatrali) risalenti in maggioranza al I sec. d.C. Un insieme di manufatti artistici dal carattere arcaicizzante o anche che si propongono come rielaborazioni e repliche di archetipi del periodo classico ed ellenistico (V-VI e III-I sec. a.C.).
Attività recenti – Con la riapertura post-pandemica, il direttore Luca Mercuri ha fatto tesoro della bella esperienza maturata attraverso i social nei mesi di chiusura proponendo nuovi progetti. In particolare:
un progetto di illuminotecnica che consentirà anche soltanto attraverso l’uso della luce sia di rendere la grotta banalmente più bella e più suggestiva per i visitatori sia di dare delle indicazioni, illuminando i punti in cui le sculture più famose si trovavano originariamente. Ci sono parti della villa che, come è noto, non sono ancora state scavate o altre che sono state scavate solo parzialmente. Quindi, attraverso la collaborazione con le università e con la soprintendenza del nostro ministero, sarà possibile dare il via a delle campagne di scavo che potranno essere in qualche modo collegate alla fruizione del monumento perché si potrà dare ai visitatori anche un’immagine diversa di un sito la cui conoscenza è ancora in progress, per dimostrare come i nostri luoghi della cultura non siano cristallizzati nel tempo.