Cinque anni fa, il 12 dicembre 2015, quasi 200 Paesi si sono impegnati a raggiungere gli obiettivi climatici dell’Accordo di Parigi. Uno dei tre target principali dell’intesa impegna i Paesi firmatari a smettere di finanziare le attività economiche che danneggiano l’ambiente e che emettono gas che causano il riscaldamento globale. La finanza verde ha un ruolo chiave nel passaggio all’economia sostenibile e i green bond, le obbligazioni “verdi” attente all’ambiente e al clima, sono gli strumenti più importanti per questa transizione. Non a caso l’emissione globale di green bond è esplosa negli ultimi anni e nel 2019 ha superato i 250 miliardi di dollari, pari al 3,5% circa del valore di tutte le emissioni obbligazionarie (7.150 miliardi) dell’anno scorso.
Ma uno studio pubblicato a settembre dalla Banca dei Regolamenti Internazionali (Bis) smonta questo mito: per chi li emette, i green bond sono quasi sempre solo uno strumento di greenwashing, il rifacimento di un’inesistente “verginità” ambientale a scopo di comunicazione.
Torsten Ehlers, Benoit Mojon, Frank Packer e Luiz A. Pereira da Silva, economisti e analisti della Banca dei regolamenti internazionali, hanno preso in esame le obbligazioni verdi emesse da un campione di 16mila aziende quotate la cui capitalizzazione complessiva di Borsa equivale a oltre il 99% di quella di tutte le società quotate. L’indagine ha verificato se i proventi di questi strumenti siano andati davvero a finanziare progetti con vantaggi ambientali, inclusa la mitigazione del cambiamento climatico. Ma i risultati sull’effettiva efficacia in termini di sostenibilità ambientale delle obbligazioni verdi sono impietosi: “Finora i progetti dei green bond non si sono necessariamente tradotti a livello di singole imprese in emissioni di carbonio relativamente basse o di un calo delle emissioni”, scrivono i quattro economisti. Dall’analisi emerge che di regola l’emissione di questi strumenti finanziari non viene effettuata da aziende a minore intensità di carbonio (il rapporto tra le emissioni di carbonio e i ricavi dell’azienda) e non porta, almeno nel breve periodo, a una sua reale riduzione da parte della società emittente. Gli autori del rapporto propongono l’introduzione di un sistema di valutazione delle obbligazioni verdi sotto forma di rating di sostenibilità che consenta di verificare l’effettiva efficacia ambientale, incentivare le società emittenti a perseguirla e comunicarla adeguatamente ai sottoscrittori dei titoli, in modo da aumentare l’interesse per i titoli più efficaci.
I green bond sono solo una delle forme delle obbligazioni sostenibili, che comprendono anche i titoli che mirano a effetti sociali e di governance aziendale in base ai principi Esg. Nel 2020, dopo un avvio difficile dovuto alle tensioni sui mercati finanziari, la pandemia ha dato notevole impulso a questa classe di strumenti finanziari. Tra luglio e settembre le emissioni di obbligazioni verdi hanno raggiunto in totale i 69,4 miliardi di dollari, record per il terzo trimestre di un anno. In totale sono stati immessi sul mercato 314 green bond da 191 emittenti di 39 Paesi, di cui 71 titoli negli Stati Uniti per un controvalore totale superiore a 30 miliardi di dollari, 48 in Germania per 21 miliardi, 40 in Svezia e 30 in Giappone. Nell’ultimo trimestre 73 nuovi emittenti di 29 Paesi hanno debuttato con questi titoli. Ben 52 di queste nuove obbligazioni valevano almeno 500 milioni di dollari l’una. L’Italia è quindicesima nella classifica internazionale, con emissioni per 3 miliardi nel terzo trimestre, ma risale al decimo posto per valore complessivo delle sue obbligazioni totali in circolazione, pari a una ventina di miliardi.
Secondo Easybond, il database di Skipper Informatica, in Borsa Italiana e negli altri mercati finanziari disponibili agli investitori nazionali sono trattati 156 green bond italiani ed esteri, per un controvalore complessivo di 189 miliardi. La maggior parte fanno capo a singoli Stati, organismi sovranazionali o istituzioni internazionali, ma 84 titoli del valore di 54 miliardi sono stati emessi da aziende. La pattuglia delle società italiane conta 38 obbligazioni verdi per un controvalore totale di 18,7 miliardi. Il maggior emittente corporate nazionale è il gruppo Enel, con sette titoli che valgono complessivamente 6 miliardi. Ma tranne due green bond emessi da Alerion e Cassa Centrale Raiffeisen Alto Adige, che hanno tagli da mille euro adatti ai piccoli risparmiatori, tutte le altre obbligazioni verdi italiane sono destinate a investitori istituzionali con tagli dai 50 ai 100mila euro. Forse è anche per questo che gli investitori italiani non conoscono ancora i prodotti finanziari sostenibili: l’Osservatorio Consob sugli investimenti delle famiglie mostra che due terzi degli intervistati dichiara di non conoscere gli investimenti responsabili. Solo il 5% degli investitori detiene prodotti di investimento sostenibili: il dato sale appena al 18% tra gli investitori informati.
di Nicola Borzi, da Il Fatto Quotidiano