Approfitto dell’amicizia e degli stimoli che i colleghi Michele Lucivero e Andrea Petracca offrono sulla rubrica Agorà. La Filosofia in Piazza di Vipiu.it per esprimere qualche considerazione sulla deriva della politica attuale e, in particolare, sulla deriva delle politiche riguardanti la scuola pubblica intraprese dagli ultimi governi, siano essi di destra o di sinistra.
Vorrei precisare, però, che, a differenza dei colleghi Lucivero e Petracca, le cui posizioni politiche sembrano abbastanza radicali, chi scrive parte da una posizione dichiaratamente liberalconservatrice; tuttavia ciò di cui si sente davvero nostalgia oggigiorno è il bagliore di una buona politica, di una vera dialettica culturale, sociale e, infine, politica.
Comincerei con il constatare il fatto che attualmente Matteo Renzi (ex Partito Democratico) e Maria Stella Gelmini (ex Forza Italia), promotori di devastanti riforme della scuola (prima nel 2008, poi nel 2015 con la Legge 107), siedono assieme praticamente sugli stessi banchi. Essi sono nel contempo figli e figlie di un’antropologia malata, quella berlusconiana, che la sinistra ha introiettato, combattendola a parole, ma nei fatti (con Renzi soprattutto, ma non solo) facendola propria. Un’antropologia, in poche parole, incentrata sul primato del singolo rispetto al bene comune, della deregulation come negazione della funzione originaria, comunitaria della legge.
La sinistra, e lo dico con la tristezza dell’ex avversario, ha tradito la sua idea originaria, sociale, nello sposare idee presuntamente “liberali”, ma il peggio è che la destra storica, propugnatrice di un alto senso dello Stato e della moralità individuale, contro arbitrii e corruzione nell’amministrazione statale, deve piangere sé stessa, distrutta nel nome e nella fama proprio dall’archetipo del populismo (di cui Movimento 5 Stelle e Lega sono solo tristi epigoni), cioè da Silvio Berlusconi (il caro amico del socialista Bettino Craxi).
Vorrei per questo rivendicare il liberalismo in quanto repubblicanesimo come una scelta politica di parte (oggi per es. di un Maurizio Viroli[1]) per sottrarre il termine a un uso distorto, ma che deve, forse, ancora decollare almeno a partire della Seconda Repubblica fino ad oggi.
In particolare, per quanto riguarda l’istruzione, si dovrebbe recuperare l’idea della scuola come istituzione; si dovrebbe recuperare la centralità della docenza come altissima magistratura; si dovrebbe ripensare completamente la serietà delle selezioni della classe docente; infine, all’interno di un discorso filosofico più complesso, si dovrebbe rinvigorire la prospettiva di una visione e di un’idea di essere umano che trascenda l’individuo (classe, nazione o repubblicanesimo che sia). Un’idea che ha unito destra e sinistra nel nome del Risorgimento (e del Secondo Risorgimento) della Nazione.
Non da ultimo, bisogna prendere atto che il riconoscimento professionale ai docenti e alla loro centralità passa (soprattutto) attraverso lo stipendio, che resta ancora molto basso per un professionista che lavora all’edificazione della società civile del futuro.
L’accettazione di una scuola-azienda, la riproposizione di una vana concorrenza tra poveri, è subordinata (questo Lucivero e Petracca lo vedono benissimo e meglio di me nel loro libro Scuola pubblica e società (in)civile) all’accettazione di una logica neoliberista che porta direttamente al populismo, perché elimina o subordina a una logica non propria corpi intermedi essenziali, come la scuola, ad esempio, ma non solo.
Come diceva il filosofo Edmund Husserl: la missione del filosofo (e del docente) è quella di essere «funzionario dell’umanità» (e di umanità) senza piegarsi alle mode e alle convenienze del momento[2]. Come speriamo altrimenti di insegnare la resistenza civile a fenomeni come mafia, corruzione, malaffare, familismo amorale[3] senza un moto d’orgoglio che coinvolga l’intera classe docente rispetto al proprio ruolo socialmente e politicamente determinante?
Vorrei ricordare ancora che la sinistra è stata quasi muta nel corso della persecuzione degli studenti e delle studentesse scioperanti e, nel caso dell’uccisione del nigeriano qualche giorno fa, si è fatto ricorso al solito cliché del “razzismo”, quando, invece, il male era nel fatto che ci fosse un uomo che non avrebbe dovuto mendicare e un altro uomo che avrebbe dovuto essere curato. La cosa più bella e vera in riferimento alle presunte “molestie” del mendicante verso l’uomo di strada l’ha detta un vescovo emerito in una intervista televisiva, il quale esprimeva pressappoco questo pensiero: «è normale che la povertà bussi alla nostra porta, che sia molesta, che interroghi le coscienze. Noi dobbiamo dare una risposta a questa povertà».
Ecco, la risposta al disagio sociale e alla deriva che ha preso la scuola non la danno né il neoliberismo e il neoconservatorismo…né d’altra parte l’attuale accozzaglia politica capitanata dal PD.
Ricordiamoci di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, pensiamo a quella sinistra e quella destra (vere) di galantuomini uniti contro il male e prendiamo oggi coscienza che, pur con posizioni politiche differenti, bisogna essere uniti nel nome dell’art. 33 della Costituzione, perché, alla fine, “noi siamo la scuola”.
[1] Cfr. M. Viroli, Nazionalisti e patrioti, Laterza, Roma-Bari 2019; Id., Etica del servizio e etica del comando, Editoriale Scientifica, Napoli 2018.
[2] E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Il Saggiatore, Milano, 2008, p. 46.
[3] Concetto introdotto, com’è noto, da Edward C. Banfield nel suo libro The Moral Basis of a Backward Society del 1958 (trad. it.: Le basi morali di una società arretrata, 1976), scritto in collaborazione con la moglie Laura Fasano, e applicato a una realtà tipicamente italiana, condizionata dall’assenza di un ethos comunitario.
di Stefano Volpato
Stefano Volpato (Asolo, 1980) ha conseguito la licenza in Filosofia presso la Scuola Normale Superiore di Pisa. È docente di ruolo al liceo “Duca degli Abruzzi” di Treviso, dove insegna Storia e Filosofia. I suoi interessi di ricerca sono rivolti alla filosofia postkantiana tedesca, allo storicismo e alla filosofia contemporanea in Italia. Al suo attivo, tra altri contributi, la pubblicazione della prima traduzione italiana del Saggio sulla filosofia trascendentale di Salomon Maimon (Aracne, 2019), con una rivalutazione complessiva del pensiero di quest’ultimo, incardinato tra i grandi protagonisti della sua epoca.
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a cura di Michele Lucivero
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