Oggi su DeepNeews nasce la rubrica Oikonomia. Uno dei vezzi delle persone con un certo grado di cultura è quello di poter all’occorrenza ricorrere all’etimologia delle parole per cercare di spiegare fatti e fenomeni, stabilendo connessioni immediate e fortemente idealizzate con culture e personaggi appartenenti a un passato remotissimo, che ormai non esiste più se non nelle ricostruzioni manualistiche, ignorando le trasformazioni semantiche e strutturali che nel frattempo sono occorse e che hanno modificato completamente i valori di riferimento per i comportamenti delle donne e degli uomini dei nostri tempi.
Ad ogni modo, per non sottrarci a questo gioco, considerata anche la premessa che vuole che l’etimologia sia segno dell’appartenenza alle “persone con un certo grado di cultura”, vorremmo ricordare in questa testata nuova di zecca, DeepNews, pensata per “persone con un certo grado di cultura”, soprattutto economica e politica, ma, in primis, per chi a impadronirsi di quella cultura punta per non esserne sopraffatto, che la parola economia (dal greco Oikonomia) è composta da due termini greci: ????? (oikos), che significa “casa” e ????? (nomos), che indica qualcosa che rassomiglia molto a una “norma” o a quella che potremmo definire “legge”.
La parola economia, dunque, in origine, cioè nell’antica Grecia, quella cultura nota per essere caratterizzata da una molteplicità di modelli sociali e valoriali che non aveva altro in comune se non la lingua, è nata per intendere un insieme di norme che i soggetti si davano per gestire e mandare avanti la casa, i beni familiari, a partire dall’organizzazione delle risorse in un regime, e questo è molto interessante, di scarsità di beni, di cui resta ancora traccia nell’espressione che le mamme ripetono spesso per cui “bisogna fare economia”.
Non è un caso, tra l’altro, che siano proprio le mamme, le donne in generale, ad essere particolarmente ferrate nella gestione economica della casa, giacché nella nostra società fino a qualche anno fa, come in quella di Sparta piuttosto che nella democratica Atene, dove gli uomini liberi perlopiù non erano gravati dalla necessità di lavorare e per questo potevano dedicarsi alla politica, erano le donne che, in assenza dei mariti, dovevano gestire le poche risorse.
Erano questi ultimi, spesso impegnati nel solo lavoro, a decidere quali e quante risorse destinare alla propria famiglia o, oggi come ieri, a più di una famiglia, con gli “stipendi dei padri” spesso frazionati in assegni di mantenimento per i figli avuti in matrimoni diversi.
Insomma, questo compito di razionalizzare le risorse a disposizione, sempre esigue, risultava un’attività destinata ad essere svolta in maniera peculiare dalle donne, le quali dovevano comprendere e soddisfare al meglio i bisogni dei propri figli, secondo criteri di equità in tempi che erano costantemente caratterizzati dalle crisi.
A partire da queste poche considerazioni, che giungono dall’esercizio arbitrario della pratica erudita dell’etimologia, si potrebbe, dunque, tentare di accedere ad una dimensione con la quale ci piace trafficare, anche perché è gratuita e a basso rischio di… contenzioso legale.
La dimensione è quella della risemantizzazione e, cioè, del provare a ridefinire l’economia come quella pratica concreta con la quale un soggetto particolarmente interessato ad altri distribuisce con equità le risorse in tempi di crisi, giacché, del resto, in tempi di vacche grasse non c’è nemmeno bisogno di qualcuno che distribuisca e l’equità in tempi di sovrabbondanza è, ovviamente, del tutto superflua.
Ora, ciò che ci sembra particolarmente interessante da evidenziare in questa definizione risemantizzata di economia, che non significa priva di fondamento, è che l’equità in tempi di crisi e di scarsità di risorse si può realizzare solo se il soggetto preposto alla distribuzione dei beni risulti particolarmente interessato ai soggetti che devono fruirne, al punto che il legame alla base di questa interazione possa essere elevato al rango del rapporto genitoriale.
Vogliamo sottolineare, in particolare, che alla base di tale rapporto intrinsecamente morale, etico, vi è un legame d’amore materno, di comprensione profonda delle differenti esigenze dei propri figli, gestite perlopiù secondo un principio che, non so come, ma già applicava la mia mamma casalinga. Lei, che gestiva patrimonio e figli in assenza del marito, impegnato a solcare i mari per mesi e mesi, amministrava in base al principio «a ciascuno secondo i suoi bisogni, da ciascuno secondo le sue capacità» e tutto ciò, lo posso garantire, senza aver lei mai saputo dell’esistenza di un uomo di Trier di nome Karl Marx.
Oggi la gestione economica della nostra società è affidata sempre più a tecnici, l’economia è diventata una scienza, e quando si dice scienza si vuole intendere che si tratta di cose serie, fatte di numeri esatti che rimandano a fenomeni ben definiti, i quali non lasciano margine a considerazioni di carattere filosofico, etico, antropologico, tutte variabili estromesse dalle inflessibili teorie economiche da manuale, dalle leggi ferree del determinismo razionalistico del comportamento economico, dall’analisi degli algoritmi su PIL, PNL, RN che dimostrano l’indimostrabile con il ricorso sistematico ad un lessico sempre più specifico e rigorosamente in lingua inglese.
In questa rubrica debuttante, Oikonomia, che ha la pretesa di funzionare come una sorta di contenitore di riflessioni da parte di un gruppo di professionisti che si occupano di filosofia e di scienze umane, ma anche di economisti «dal volto umano», per parafrasare un’espressione di Alexander Dub?ek, vorremmo provare ad approcciarci ai temi economici con un duplice scopo.
Innanzitutto quello di recuperare e rilanciare il ruolo dell’etica nell’affrontare le questioni che riguardano l’economia e quando ci riferiamo all’etica intendiamo dire che l’equità non si raggiunge mediante una distribuzione meccanica e algoritmica della risorse, bensì attraverso una conoscenza profonda delle singole persone, che esprimono bisogni concreti, necessità immediate. Tale comprensione è il risultato di una prossimità che va recuperata nella dimensione della comunità, nell’alveo della città, in cui occorre prendersi letteralmente cura delle persone nel rispetto delle singole differenze.
L’obiettivo è quello di leggere l’economia in una dimensione storica all’interno del cono d’ombra dell’etica e dell’antropologia, affinché emergano le istanze alternative come opportunità per il futuro, nella presunzione che la conoscenza dei fenomeni del passato possa ancora essere utile per operare dei correttivi per la sopravvivenza dell’umanità.
La prospettiva filosofica, dunque, scevra da interessi specifici, giacché risulta davvero difficile pensare che ci sia qualche grande multinazionale disposta a finanziare ricerche filosofiche, come avviene per i dipartimenti di economia, medicina, ingegneria, è tesa a riassegnare all’oikonomia un ruolo guida nella definizione e nella gestione del bene comune.
Il ruolo del filosofo è diventato, ormai, quello di interrogare i saperi che sembrano precostituiti e settari, come l’economia politica o la politica economica, di fare domande e lasciare sorgere il dubbio in relazione alla loro presunzione di certezza e affinché questo dubbio diventi lo stimolo per una nuova ricerca, nella consapevolezza che nell’ambito delle vicende umane intersoggettive non vi sono problemi che richiedono l’individuazione di soluzioni, come accade per le scienze esatte, in cui vi è una corrispondenza univoca tra quel problema e quella soluzione ad hoc. Nell’intersoggettività vi sono situazioni favorevoli o sfavorevoli, facilitazioni e ostacoli, accelerazioni e rallentamenti, e occorre fare in modo che le seconde alternative siano nettamente ridotte a vantaggio delle prime.
D’altro canto, siamo consapevoli della complessità dei fenomeni economici e della difficoltà del lessico necessario per spiegarli, per cui il nostro secondo obiettivo è quello di portare un po’ di chiarezza su tali temi, giacché siamo consapevoli, come sosteneva il filosofo Baruch Spinoza nel Trattato sull’emendazione dell’intelletto, che appare necessario «Adattarsi alla capacità di comprensione del volgo nelle parole e in tutte quelle azioni che non comportano alcun ostacolo al raggiungimento del nostro scopo. Infatti, da esso possiamo acquisire non piccoli vantaggi, se ci adattiamo, per quanto possibile, alla sua comprensione»[1].
[1] B. Spinoza, Trattato sull’emendazione dell’intelletto, in Opere, a cura di F. Mignini, Mondadori, Milano 2015, p. 30.
Qui le puntate di Oikonomia.