Inizia con questo articolo la collaborazione con ViPiu.it di Tullio Segato, sociologo, criminologo e relatore e formatore in materia di stalking, violenza di genere, bullismo. A lui, che si aggiunge a un sempre maggior numero di esperti nelle varie "materie" che scelgono la nostra testata per colloquiare con i lettori, va il nostro ringraziamento e il nostro benvenuto.
Il direttore
Il ruolo della cultura negli omicidi delle donne
Stiamo assistendo in questi giorni al moltiplicarsi di omicidi in danno di donne. Nulla, purtroppo, di nuovo rispetto a ciò che da tempo siamo abituati ad osservare. Uomini che uccidono le donne perché le considerano subordinate in ragione di un radicato modello di società di tipo patriarcale che assegnava al maschio il potere all’interno della famiglia, stereotipo tuttora esistente anche se in forma subdola in una società ancora non matura in senso liberale, come si auto-definisce.
Gli autori di questi crimini sono persone - solo anagraficamente- adulte, la cui educazione non li porta a considerare la donna come “persona” ed il cui egoismo, tradotto nel desiderio di soddisfazione in termini di possesso, prevale sulla capacità di autocontrollo dando così concretezza agli accadimenti come li conosciamo.
Relativamente a quanto detto si sono spesi e si stanno spendendo fiumi di parole e questo è senza dubbio un bene; non tanto in prospettiva di un repetita iuvant, quanto nel tener accesa l’attenzione su un fenomeno che riguarda tutti, sia come singoli che come società, e fornire quella sensibilizzazione necessaria a far sì che venga meno il rifugiarsi di ognuno dietro lo schermo dell’anonimato - tanto ci penserà qualcun altro - ogni qualvolta si assista a forme di violenza nei confronti delle donne.
Rispetto al passato molto è comunque stato fatto, ma se ci troviamo ancora a dover contare le vittime, significa che altro si deve fare. Tra le priorità, il rafforzamento dei centri antiviolenza con investimenti per la realizzazione di case di accoglienza e percorsi di autonomia lavorativa per le vittime. Indispensabile inoltre il monitoraggio costante della sinergia tra le “reti” assistenziali, sanitare e giudiziarie presenti nel territorio, nonché una energica attività di controllo e indirizzamento al recupero dei denunciati.
A tutto questo va aggiunta una importante e massiccia campagna educativa nelle scuole per suscitare nei giovani il rispetto delle donne, ciò anche mediante percorsi educativi alla sessualità e alla gestione delle emozioni.
Se quanto sopraddetto, seppur doveroso, è comunemente già ampiamente dibattuto, vorrei soffermarmi brevemente su una parte che riguarda il cosiddetto retaggio culturale, l’humus di cui questi agiti violenti sono pregni, ma nel quale mai potranno trovare giustificazione.
In particolare mi trattengo in quello che fu l’art. 587 del codice penale del 1930 -poi abolito nel 1981, quindi in tempi molto prossimi, facente riferimento al cosiddetto “delitto d’onore” che ben si integrava con l’art. 544, coevo nello stesso codice nella stesura e nella abrogazione, che disciplinava il “matrimonio riparatore”.
Tornando all’articolo che regolava l’omicidio e la lesione personale a causa di onore, si prevedeva la pena particolarmente indulgente della reclusione da tre a sette anni per chi uccideva il coniuge, la figlia o la sorella “nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo e della famiglia”. Lo stesso era previsto per chi uccideva, in tali circostanze, la persona che si trovava in illegittima relazione carnale con il coniuge, la figlia o la sorella.
Come si può agevolmente notare, nella espressione “coniuge” non è specificato il genere, pertanto le attenuanti potevano -senza alcuna differenza- applicarsi qualora l’omicidio fosse stato commesso sia da un uomo che da una donna.
Ciò nonostante anche oggi, nell’immaginario popolare, quella che fu la legittimazione del delitto d’onore è attribuita nella quasi totalità alla figura maschile, questo ad indicare, qualora ancora ce ne fosse bisogno, come la giustificazione dell’agire prevaricante dell’uomo appartenga alla coscienza collettiva addirittura oltre a ciò che la stessa legge disciplina.
Tullio Segato
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