Umberto Pietrolungo, presunto killer dell’avvocato Pierangelo Fioretto e della moglie Mafalda Begnozzi, entrambi uccisi il 25 febbraio 1991 a Vicenza, andrà a processo. Il procedimento in Corte d’Assise inizierà venerdì 17 gennaio prossimo a Vicenza.
La decisione – rivela Ansa – è stata presa dal Gip che ha accolto l’istanza di giudizio immediato del sostituto procuratore Hans Roderich Blattner.
“L’imputato ha 15 giorni di tempo per chiedere di poter essere interrogato dal pm o per avanzare richiesta di rito abbreviato, possibilità dovuta al fatto che il delitto risale a un periodo antecedente alla riforma Cartabia, che lo esclude. La svolta su questo cold case era avvenuta nel giugno scorso (leggi qui), con la notifica dell’ordinanza di custodia cautelare a Pietrolungo in carcere a Cosenza, dove è recluso per altri reati”.
A risalire al presunto omicida sono state le impronte digitali parziali sul silenziatore di una pistola e il Dna rilevato in un guanto usato per l’assassinio. Le foto segnaletiche di Pietrolungo, affiliato alla ‘ndrina dei Muto, hanno permesso a alcuni testimoni il riconoscimento dell’uomo, anche a distanza di oltre 30 anni.
Chi è Umberto Pietrolungo
Un uomo che, sin da giovanissimo, si è lasciato alle spalle una scia di criminalità, dettata anche dalla sua prossimità al clan Muto di Cetraro, egemone da decenni in una consistente porzione della provincia di Cosenza, quella del versante tirrenico, con ramificazioni in Basilicata e nella provincia di Salerno.
Un’egemonia nata storicamente sul controllo del settore ittico, tanto che il boss, Francesco Muto, conosciuto come “Franco”, è soprannominato “Il Re del Pesce”. Gli interessi della cosca si sono espansi, poi, ad altri settori economici, mentre il passare del tempo, le malattie e gli anni di carcere hanno fiaccato e probabilmente messo fuori gioco il vecchio capo.
Umberto Pietrolungo è nipote di Lido Scornaienchi, detto “Cunfietto” (Confetto, ndr), braccio destro di Franco Muto. Coinvolto in Calabria in importanti operazioni dell’Antimafia per associazione a delinquere nella commissione di reati che vanno dal traffico di droga all’estorsione e all’usura fino alla turbata libertà degli incanti, aggravati dalle modalità mafiose, nel 2022 è finito in carcere. In quello di Cosenza per la precisone, dove è stato raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le indagini preliminari di Vicenza su richiesta del procuratore ed eseguita dalla squadra mobile della Questura.
Curioso il modo in cui era finito dietro le sbarre in quell’estate. Nell’afa di agosto che si sconfigge solo in parte e soltanto bagnandosi nelle acque blu del Tirreno cosentino, i carabinieri del Norm di Scalea lo beccarono in uno stabilimento balneare di Santa Maria del Cedro.
Era irreperibile da circa un anno, dopo che sulla sua testa pendeva un ordine di carcerazione per scontare una pena di 5 anni e 4 mesi di reclusione per il reato di tentata estorsione in concorso aggravato dal metodo e dalle finalità mafiose.
In mezzo, tra gli esordi cetraresi e il ritorno in Calabria, fino al soggiorno nel carcere di Cosenza, c’è un lungo periodo trascorso al Nord. Gli inquirenti, infatti, rendono noto che dal 1982 al 2010 ha avuto la residenza anagrafica in provincia di Genova, a Cogoleto. E di lui gli archivi delle forze dell’ordine hanno traccia per la commissione di reati e per gli incontri con i compaesani di Cetraro operativi al Settentrione.