La notizia della scarcerazione di Rassoul Bissoultanov, uno dei due ceceni accusati dell’omicidio di Niccolò Ciatti, il 22enne fiorentino pestato a morte l’11 agosto 2017 in una discoteca di Llorret de Mar in Spagna, ha sollevato voci di dissenso, manifestazioni di sconcerto e critiche del provvedimento anche da parte di rappresentanti delle istituzioni.
Eppure, sostiene nel comunicato che pubblichiamo Elisabetta Bavasso, legale, consulente associazione Aduc (qui altre note Associazione per i diritti degli utenti e consumatori su ViPiu.it, ndr) – le motivazioni della scarcerazione sono chiare: la illegittimità dell’arresto a suo tempo eseguito.
L’arresto era intervento, peraltro, come misura cautelare, ovvero prima di una condanna, il processo avrà inizio a Roma il 18 gennaio. Allo stato l’imputato è presunto non colpevole (1)
La misura di custodia cautelare in carcere è stata revocata dalla corte di assise di Roma il 22 dicembre scorso, in accoglimento di un’istanza presentata dalla difesa dell’uomo. Secondo quanto precisato nel provvedimento di revoca, la misura cautelare non poteva essere emessa perché Bissoultanov non si trovava in Italia al momento dell’emissione dell’ordinanza che disponeva il carcere nei suoi confronti. La presenza dell’indagato sul territorio italiano al momento dell’emissione dell’ordinanza, viene spiegato dai giudici facendo anche riferimento ad alcune pronunce della Cassazione, è condizione di procedibilità nel caso di reati commessi all’estero nei confronti di un cittadino italiano.
Quindi il provvedimento della Corte d’Appello di Roma ripristina la legalità a suo tempo violata dall’arresto di cui non sussistevano i presupposti di legge.
Gli argomenti a sostegno di reazioni sdegnate destano più allarme di quanto non ne possa destare la decisione della Corte.
Se la Corte ha applicato la legge, ad essa dobbiamo il rispetto di regole che lo stato di diritto si è dato affinché l’esercizio del proprio potere punitivo non debordi in arbitrio. Per quanto in alcuni casi l’effetto dell’applicazione della legge possa frustrare l’aspettativa di giustizia, esso deve essere accettato razionalmente come garanzia generale dei cittadini di non consegnare a pareri personali o a spinte e pressioni di interessi diversi (politici, economici, etc.) l’esercizio della giurisdizione.
La norma penale è tassativa (nessuna pena senza legge) ed ancora di più lo è la norma che regola il processo, essa non solo è tassativa, ovvero deve preesistere al caso da giudicare e deve indicare espressamente i vari passaggi da rispettare, ma non può essere interpretata per analogia rispetto ad altri casi (Divieto di analogia -2) .
Questo rigore è il frutto di conquiste di civiltà, con le quali a caro prezzo di vite umane gli stati occidentali si sono liberati da poteri assoluti che hanno soggiogato il popolo con dispregio di diritti individuali e collettivi.
L’opinione “pubblica” il “Popolo”, sono entità astratte se distaccate dai diritti dei singoli che li costituiscono, e sono più facilmente pretesto per l’uso del potere contro i cittadini piuttosto che veicolo di rivendicazione di giustizia.
Le forche e le ghigliottine in piazza lavoravano alla presenza di una folla plaudente, questi scenari non sono assimilabili al concetto di esercizio della giurisdizione in uno stato di diritto.
Oggi noi rivendichiamo di essere cittadini, ciascuno dei quali è titolare di diritti non un “popolo” indistinto la cui volontà sia determinata da auto legittimati canali di possibile manipolazione del consenso.
Questo non esclude che le decisioni giudiziarie siano oggetto di esame, di analisi, di critica, ma non che siano delegittimate proprio quando e perché abbiano applicato la legge che democraticamente ci siamo dati.
La comprensibile richiesta di giustizia, la frustrazione delle parti personalmente coinvolte per la difficoltà o parzialità con la quale spesso essa si realizza, o la sua mancata realizzazione, non possono essere appagate attraverso l’ammissione o addirittura la richiesta che i tribunali non rispettino le leggi perché troppo rigorose.
Nè è accettabile che le norme vengano delegittimate con la definizione svalutante di “cavilli”.
Torna alla mente la vicenda del giudice di Cassazione Corrado Carnevale definito “ammazza sentenze”, processato e definitivamente assolto per l’annullamento di sentenze contro delitti di mafia, per irregolarità dei processi di primo e secondo grado.
Il principio di legalità è il cardine dello stato democratico, quando lo si demonizza abbiamo presente quale sarebbe la possibile alternativa? Chi lo fa ha il dovere di esporla perché, demolire senza proporre, l’alternativa è meccanismo proprio di politiche populiste: che col demolire le istituzioni sostanzialmente mirano ad ottenere il vuoto da riempire con il potere indisciplinato e non regolato, ovvero quanto di peggio possa esistere.
Le figure istituzionali, quindi, è bene operino per aiutare i singoli cittadini nel comprendere le ragioni sostanziali e generali di una decisione che, nel caso concreto, può essere frustrante, non nel sobillare contro le istituzioni.
D’altra parte la funzione dell’avocazione a sé dello Stato del potere punitivo è proprio quella di separare il bisogno, desiderio, aspettativa di giustizia individuale da quella sociale, in questo senso anche il cittadino ferito va aiutato a sentirsi parte del più ampio contesto sociale.
1 – https://www.treccani.it/enciclopedia/presunzione-di-non-colpevolezza/
2 – https://it.wikipedia.org/wiki/Divieto_di_analogia#:~:text=Il%20divieto%20di%20analogia%2C%20per,severe%20rispetto%20a%20quelle%20previste.
Elisabetta Bavasso, legale, consulente