La Procura di Roma ha aperto un fascicolo sulla vendita di due navi da guerra all’Egitto. L’indagine nasce da un esposto presentato da genitori di Giulio Regeni e verrà seguita in prima persona dal procuratore-capo Michele Prestipino Giarritta e dal pm Sergio Colaiocco, che già si occupano del caso della morte del ricercatore friulano, torturato e ucciso al Cairo fra gennaio e febbraio 2016. Claudio e Paola Regeni accusano lo Stato italiano di avere violato la legge 185 del 1990 in tema di vendita di armi ai Paesi esteri. Il riferimento è alle due fregate della classe Fremm Bergamini – valore di 1,2 miliardi – realizzate da Leonardo (ex Fincantieri) e cedute all’Egitto. Una delle navi è già stata consegnata alle autorità del Cairo, giunta nel porto di Alessandria d’Egitto il 30 dicembre. La denuncia è stata redatta dall’avvocato Alessandra Ballerini e annunciata durante la trasmissione Propaganda Live di La7, andata in onda il 31 gennaio.
All’articolo 1, comma 6, lettera d, la legge citata vieta “l’esportazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l’intermediazione di materiali di armamento verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell’Ue o del Consiglio d’Europa”. All’articolo 2, comma 2, lettera f, della stessa normativa, nel definire “materiali di armamento”, si fa espresso riferimento a “navi e relativi equipaggiamenti appositamente costruiti per uso militare”. L’esposto ha ricevuto il supporto dei Verdi, il cui coordinatore Angelo Bonelli ha intrapreso un’iniziativa simile, con un esposto che andrà a integrare la posizione dei denuncianti.
Le indagini della Procura di Roma sulla morte del ricercatore friulano, portate avanti dai carabinieri del Ros, ha individuato i responsabili in quattro alti ufficiali della National Security egiziana – per i quali sarà chiesto il rinvio a giudizio – fra cui il presunto esecutore materiale delle torture e dell’omicidio “volontario”, il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Allo stesso tempo, i magistrati romani hanno contestato i depistaggi e la scarsa collaborazione alle indagini delle autorità egiziane. Nell’atto di chiusura delle indagini, reso noto il 10 dicembre, i pm parlano di sevizie durate giorni, avvenute in una struttura dei servizi egiziani, che causarono a Giulio acute sofferenze fisiche messe in atto anche attraverso oggetti roventi, calci, pugni, lame e bastoni. Gli inquirenti del Cairo pochi giorni dopo hanno replicato che “per il momento non c’è alcuna ragione per intraprendere procedure penali in quanto il responsabile dell’omicidio resta sconosciuto”. A loro avviso, inoltre, Regeni in Egitto avrebbe tenuto comportamenti “non consoni al suo ruolo”.
I magistrati dovranno ricostruire la filiera decisionale che ha portato alla vendita degli armamenti all’Egitto. Il tema della legge 185/90 era già stato sollevato nei mesi scorsi dalla Rete Italiana per il Disarmo. Sul punto, il 16 luglio 2020, interpellato in audizione in commissione d’inchiesta parlamentare sull’omicidio Regeni, il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, aveva dichiarato che “il governo ha dato l’autorizzazione a negoziare” ma che a decidere sulla firma del contratto sarebbe stata la Uama, l’organo tecnico della Farnesina che valuta e autorizza la vendita degli armamenti all’estero. “Qui – aveva detto Di Maio – non c’è stata una regia dello Stato o del governo nell’incentivare rapporti commerciali, ma solo una dinamica commerciale legata ad’azienda privata”, in questo caso l’ex Fincantieri. La violazione della legge, qualora accertata, è punita “con la reclusione fino a cinque anni” o “con la multa da due a cinque decimi del valore dei contratti”.
di Vincenzo Bisbiglia sul Fatto Quotidiano