Open Arms, il senato manda ancora a giudizio Matteo Salvini che incassa solidarietà di Meloni ma rischia sfida di Zaia in casa Lega

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Salvini e Zaia
Salvini e Zaia

L’assemblea del Senato ha approvato ieri, 30 luglio, la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del leader della Lega Matteo Salvini per il caso della nave Open Arms, la seconda dopo quella per l’analogo blocco degli sbarchi dalla nave Gregoretti, il cui processo inizierà a fine ottobre. I voti favorevoli sono stati questa volta 149, i contrari 141. (Public Policy).

Dunque, a maggioranza l’assemblea ha respinto la relazione della Giunta per le immunità, guidata da Maurizio Gasparri (Forza Italia), che chiedeva di non dare l’autorizzazione a procedere.

Sulla base della legge costituzionale n.1 del 1989 per bloccare una richiesta di autorizzazione a procedere si sarebbe dovuta raggiungere la maggioranza assoluta dei voti, ovvero quota 160. Ma durante il voto al Senato i contrari al processo (e favorevoli alla richiesta della Giunta di bloccare l’autorizzazione) si sono fermati a 141.

Dura la reazione affidata a una nota dopo l’esito del voto  del leader della Lega Matteo Salvini, che, comunque, incassa l’ennesima sconfitta sul piano politico in attesa di cosa succederà in tribunale da ottobre in poi.

«Contro di me festeggiano i Palamara, i vigliacchi, gli scafisti e chi ha preferito la poltrona alla dignità. Sono orgoglioso di aver difeso l’Italia: lo rifarei e lo rifarò, anche perché solo in questo luglio gli sbarchi sono sei volte quelli dello stesso periodo di un anno fa, con la Lega al governo. Vado avanti, a testa alta e con la coscienza pulita, guarderò tranquillo i miei figli negli occhi perché ho fatto il mio dovere con determinazione e buonsenso. Mi tengo stretto l’articolo 52 della Costituzione (“la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”) e ricordo le parole di Luigi Einaudi: “Quando la politica entra nella giustizia, la giustizia esce dalla finestra”. Non ho paura, non mi farò intimidire e non mi faranno tacere: ricordo che per tutti i parlamentari, presto o tardi, arriverà il giudizio degli elettori».

Non manca chi vede paradossalmente in questa seconda autorizzazione a procedere nei suoi confronti una delle poche chances per Salvini, esiti delle prossime elezioni regionali inclusi, di recuperare almeno una parte dei dieci punti e passa persi nei sondaggi dopo che il leader della Lega ha fatto cadere il governo basato sull’alleanza con i pentastellati allora guidati, anche formalmente, da Luigi Di Maio, altro leader in caduta.

Gran parte dei consensi persi dalla Lega sono stati raccolti da Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, che si pone sempre di più come possibile nuovo leader del destra-centro e che, pur non trascurando l’effetto del vittimismo su cui giocherà Salvini per il suo tentativo di risalita nei consensi per altro su un tema sensibile come la paura degli immigrati, non poteva non correre in soccorso mediatico a Salvini a cui va la sua solidarietà con un post su Facebook:

«Il processo a un ministro per aver fatto quello che il suo mandato gli imponeva, ovvero difendere la Nazione e i suoi confini e rispettare l’indicazione data dagli elettori con il voto, è un precedente spaventoso nella democrazia Italiana. Non conta più cosa sia giusto, ma cosa piaccia alla sinistra, al mainstream e ai poteri forti. Un altro tassello nella deriva liberticida che denunciamo da tempo. Ma a chi festeggia, senza pudore, voglio dire che quando saltano le regole dello stato di diritto, nessuno è più al sicuro. A Matteo Salvini va la totale e incondizionata solidarietà mia e di tutta Fratelli d’Italia. Ce la faremo, Matteo, a difendere questa nazione da vigliacchi e traditori».

Se Salvini, comunque, traballa da tempo per gli errori che anche suoi colleghi di partito gli addebitano da tempo, a partire dall’abbandono del governo da lui decisa per andare alle urne e “riscuotere” il consenso crescente che gli arrideva senza, però, valutare la possibilità, poi realizzatasi, di una nuova maggioranza, la sola minaccia che una condanna potrebbe metterlo fuori gioco per effetto della legge Severino agita ulteriormente le acque interne del partito alla ricerca di un nuovo, più stabile leader.

Il nome di Luca Zaia è da tempo il più gettonato per la possibile successione e il plebiscito atteso per lui in Veneto potrebbe esserne la spinta decisiva.