Operaio caduto da impalcatura lasciato agonizzante in strada: quanto conta una persona?

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morti sul lavoro
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Una notizia dal sito napoli.fanpage.it

Napoli, lasciato agonizzante in strada, operaio morto dopo caduta da impalcatura

Un uomo di età apparente tra i 55 e i 60 anni è stato trovato senza vita ieri, 12 dicembre, su un marciapiedi di via dell’Annunziata, a Forcella, nel centro di Napoli: sarebbe caduto da un’impalcatura nell’androne di un edificio e il corpo sarebbe stato spostato successivamente. In corso indagini della Polizia di Stato.

ll cadavere era stato rinvenuto ieri pomeriggio, intorno alle 16 del 12 dicembre, in via dell’Annunziata, a Forcella. Aveva le gambe fratturate e delle tracce di sangue alla testa e alla bocca, segni che hanno immediatamente fatto pensare a una caduta. A terra, però, non c’era altro sangue e non era caduto dal palazzo adiacente. Sarebbe stato quindi spostato, questa la tesi degli investigatori, probabilmente per depistare le forze dell’ordine, per rendere più difficilmente identificabile il reale punto in cui c’è stato l’incidente. Una mossa che solitamente significa una cosa precisa: cantieri abusivi e operai non in regola, quindi la necessità di evitare qualsiasi tipo di controllo.

Che commento si può fare? Che questa notizia descrive il vero odio al quale ci stiamo abituando?

Le persone non contano nulla. Chi lavora è considerato meno di niente. Solo un meccanismo di una macchina infernale. Quando si ammala o quando “si rompe” diventa uno scarto, un rifiuto senza valore che è normale abbandonare su un marciapiede. Al massimo sarà un numero in più nella lista dei morti sul lavoro. Tanto sono diverse centinaia ogni anno. E diventano numeri di una statistica, senza nome e senza più esistenza. Numeri, così fanno meno impressione. Certo, qualcuno raccoglierà il corpo, forse si scriverà qualche parola, magari alcune righe. Poi più nulla. Perché a pochi interessa qualcosa. Meglio girarsi dall’altra parte.

L’inciviltà sta prendendo il sopravvento ed è figlia dell’indifferenza. Tentiamo almeno di resistere. Ricominciamo a lottare per fermare questa deriva. Non ci possiamo arrendere.

Alziamo la testa. L’alternativa è chiudere gli occhi e aspettare il disastro.

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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.